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Il processo tributario: evoluzione storica

1. Profili generali

L’evoluzione storica del processo tributario passa attraverso l’emanazione del D.P.R.  26 ottobre 1972 n. 636, con il quale si afferma la natura giurisdizionale[1] delle Commissioni tributarie, prevedendo tra l’altro l’applicazione delle disposizioni processual-civilistiche seppur limitatamente al libro I del codice di procedura civile. L’emanazione di detta normativa traeva origine dall’esigenza di superare la tesi della natura amministrativa delle Commissioni tributarie, affermata dalla Corte Costituzionale con le ordinanze n. 6 e n. 10 del 1969[2]. Infatti, fino alla riforma del 1972, il contenzioso tributario si svolgeva dapprima innanzi alle commissioni tributarie, sorte negli anni ’30 come organi di contenzioso amministrativo[3] e successivamente proseguiva innanzi al giudice ordinario, competente ai sensi dell’allegato E della L. 20 marzo 1865 n. 2248 per tutte le controversie su diritti soggettivi tra cittadini e Pubblica Amministrazione comprese le liti in materia di imposte e tasse. Inoltre, si caratterizzava sia  per la  non applicabilità delle norme processual-civilistiche e sia per la disquisizione in merito al carattere di terzietà delle Commissioni.

Con l’art. 30 della L. 30 dicembre 1991 n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale) fu prevista la revisione del contenzioso tributario al fine di razionalizzare e migliorare i rapporti tra contribuente ed ente impositore, dettando le seguenti direttive[4]:

-         l’articolazione del processo tributario in due gradi di giudizio con commissioni tributarie di primo grado con sede nei capoluoghi di provincia e  commissioni tributarie di secondo grado con sede nei capoluoghi di regione. Venne soppressa la commissione tributaria centrale (terzo grado di giudizio);

-         l'esclusione della prova testimoniale e del giuramento nei procedimenti tributari;

-         l’ampliamento delle attribuzioni delle commissioni, con l’affidamento alle commissioni anche delle controversie relative ai tributi locali, spostando quindi il confine tra giudice ordinario e giudice tributario;

-         l’adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile (la novità di maggior rilievo è la tutela cautelare finalizzata ad ottenere la sospensione dell’atto impugnato, alla quale ha fatto seguito l’istituto della conciliazione);

-         la disciplina dell'assistenza tecnica delle parti diverse dall'Amministrazione avanti agli organi della giustizia tributaria.

Il legislatore delegato ha dato applicazione alla delega emanando il D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 545 concernente l’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria nonché l’organizzazione degli uffici di collaborazione ed il D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 concernente il processo tributario[5].

Si è quindi passati dai tre gradi di giudizio, previsti dal D.P.R. 636/1972, esercitati innanzi le commissioni tributarie di primo grado, di secondo grado e centrale (oltre eventualmente il ricorso in cassazione)  agli attuali due gradi di giudizio (oltre eventualmente il ricorso in cassazione). Le controversie tributarie pendenti dinanzi alle commissioni tributarie di primo e di secondo grado previste dal citato decreto, sono state devolute rispettivamente alle commissioni tributarie provinciali ed alle commissioni tributarie regionali. Con l’art.  1,  commi 351 e 352 della L. n. 244 del 24 dicembre  2007  (finanziaria  2008),  viene, altresì, stabilito che, a partire dal 1° maggio 2008, i processi pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale sono attribuiti alla sezione  regionale nella cui circoscrizione ha sede la  Commissione  tributaria  di  secondo grado che ha emesso la decisione impugnata. Tale riorganizzazione regionale della CTC è divenuta operativa con il decreto del Ministero dell’Economia 20 marzo 2008 e si propone l’obiettivo di smaltire in tempi rapidi le cause arretrate.

Vengono, inoltre, abrogate espressamente alcune norme, esistenti alla data di insediamento delle nuove Commissioni tributarie, nonché ogni altra disposizione incompatibile con quelle contenute nel D.Lgs. 546/1992, recependo il principio sancito dall'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi al codice civile) che dispone, in base al principio della successione delle leggi nel tempo, l'abrogazione per incompatibilità delle precedenti disposizioni modificate dalle nuove norme.  L’art. 71 D.Lgs. 546/1992, oltre all'abrogazione espressa delle disposizioni procedurali contenute nel D.P.R. 636/1972, prevede la soppressione, a far data dal 1 aprile 1996, di alcune norme disciplinanti la competenza degli organi amministrativi in materia di tributi locali e la facoltà degli stessi di concedere la sospensione dei ruoli.

In particolare, dalla predetta data, sono abrogati:

-         l'art. 288 del T.U. della finanza locale concernente il ricorso avverso gli errori materiali dei ruoli relativi ai tributi locali;

-         l'art. 1 e gli artt. da 15 a 45 del D.P.R. 636/1972 recante la previgente disciplina del contenzioso tributario. A tale riguardo va evidenziato che l'art. 49, c. 1, del D.Lgs. 545/1992 ha espressamente abrogato le restanti norme da 2 a 14 del citato D.P.R. 636/1972;

-         l'art. 19, c. 4 e 5, e l'art. 20 del D.P.R. n. 638 del 26 ottobre 1972 concernenti le impugnazioni degli avvisi di accertamento dei tributi comunali e provinciali non soppressi e notificati a decorrere dal 1 gennaio 1974;

-         l'art. 24 del D.P.R. n. 639 del 26 ottobre 1972 riguardante il ricorso avverso gli atti di accertamento dell'imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni; - l'art. 63, c. 5, e l'art. 68, c. 3, del D.P.R. n. 43 del 28 gennaio 1988 concernenti i ricorsi contro le risultanze dei ruoli relativi alla riscossione coattiva dei tributi locali;

-         l'art. 4, c. 8, del D.L. n. 66 del 2 marzo 1989, convertito dalla L. n. 144 del 24 aprile  1989 disciplinante il contenzioso relativo all'imposta comunale per l'esercizio di imprese, arti e professioni (I.C.I.A.P.), peraltro modificato dall'art. 42-ter, c. 2 del D.L. 23 febbraio 1995 n. 41, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 marzo 1995 n. 85;

-         l'art. 11, c. 5, del D.L. 13 maggio 1991 n. 151, convertito dalla L. 12 luglio 1991 n. 202, riguardante il ricorso avverso i ruoli formati ai sensi dell'art. 67, c. 2, lett. a) del D.P.R. 28 gennaio  del 1988 e contro i relativi avvisi di mora.

 

2. Abrogazione della pregiudiziale amministrativa

Con l’art. 71 D.Lgs. 546/1992 viene meno, a decorrere dal 1° aprile 1996, la pregiudiziale amministrativa, disciplinata dall’art. 20, u.c. del D.P.R. 638/1972 ed applicabile:

-         alla TOSAP;

-         alla TARSU;

-         al canone o diritto per la raccolta, l’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque;

-         all’ICIAP;

-         all’imposta comunale sulla pubblicità ed il diritto sulle pubbliche affissioni per effetto della previsione dell’art. 24 del D.P.R. 639/1972.

Prima dell’insediamento delle commissioni tributarie il contenzioso sui tributi locali si articolava in una fase amministrativa da svolgersi, in primo grado, innanzi all'Intendente di finanza e, in secondo grado, innanzi al Ministro delle finanze, nonché una fase giurisdizionale da esperire innanzi al giudice ordinario. La proposizione dell'azione giudiziaria, anche avente ad oggetto la ripetizione di somme relative a tributi non dovuti, era subordinata al previo esperimento dei ricorsi in via amministrativa, e poteva essere promossa entro 90 giorni dalla notificazione della decisione del Ministro, oppure,  in ogni caso, dopo 180 giorni dalla presentazione del ricorso al Ministro.

Il successivo art. 77 stabilisce che "le controversie relative ai tributi comunali e locali indicati nell'art 2, per le quali era previsto il ricorso all'Intendente di finanza o al Ministro delle finanze, se non ancora definite alla data di insediamento delle nuove commissioni, continuano ad essere decise in sede amministrativa dai suddetti organi secondo le relative disposizioni, ancorché abrogate ai sensi dell’art. 71". Pertanto - come chiarito con le circolari ministeriali n. 98/E del 23 aprile 1996 e n. 291/E del 18 dicembre 1996 - le controversie in materia di tributi locali, pendenti alla data del 1° aprile 1996, "continuano a essere decise in sede amministrativa secondo la previgente normativa” e "i decreti ministeriali di decisione dei ricorsi gerarchici relativi alle predette controversie sono impugnabili dinanzi alle nuove Commissioni tributarie”.

In caso di proposizione anteriormente al 1 aprile 1996, di ricorso amministrativo avverso l’avviso di accertamento, effettuata ai sensi dell’art. 20 D.P.R. 638/72, poi abrogata con effetto dalla data predetta, dall’art.71 D.Lgs. 546/1992, ma con ultrattività stabilita dell’art.77 del medesimo D.Lgs., come è consentito al contribuente proseguire nella sede amministrativa, così non è impedito al medesimo, in virtù della sentenza Corte Cost. 13 aprile 1998 n.132 di intraprendere la via giurisdizionale[6]. Il giudice delle leggi, con la citata sentenza, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 del D.P.R. n. 638/1972 nella parte in cui non prevede l’esperibilità dell’azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo[7].

 Da ultimo,  il Consiglio di Stato con parere nota prot. n. 112630 P del 29 agosto 2005 – Cs. 18324/02 è intervenuto sulle seguenti questioni relative:

-         all'organo competente a decidere ricorsi amministrativi di secondo grado in materia di tributi locali proposti in data anteriore al 1° aprile 1996;

-         alla legittimazione passiva nei giudizi tributari instaurati avverso le decisioni amministrative emesse in materia di tributi locali.

Le conclusioni a cui è addivenuto tale organo,  fatte proprie dall’Agenzia delle entrate con nota prot. 2006/39927 del 3 aprile 2006 sono le seguenti:

-         con l'attivazione dell'Agenzia delle entrate, tutte le Direzioni regionali sono ormai divenute strutture di vertice (art. 4 del regolamento di amministrazione) e quindi, tutti i Direttori regionali sono titolari del potere di decidere in merito ai ricorsi gerarchici contro i provvedimenti non definitivi emessi dagli Uffici rientranti nella propria competenza territoriale. La decisione dei ricorsi gerarchici, già di competenza del Ministero delle Finanze, compete quindi all'Agenzia delle entrate, in virtù dell’ampia portata del citato art. 57, c. 1, D.Lgs. n. 300/1999 (laddove afferma che “Alle Agenzie fiscali sono trasferiti i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze”);

-         in materia di tributi locali, in caso di ricorso giurisdizionale, parti del processo sono il contribuente e l'Ente locale titolare del tributo, alla cui gestione l'organo amministrativo che emette la decisione impugnata è del tutto estraneo. Pertanto, a differenza di ciò che si verifica in relazione ai ricorsi gerarchici che erano pendenti in materia di tributi erariali, nel caso dei tributi locali si riscontra una totale mancanza di interesse, diretto o indiretto, all'eventuale prosecuzione della controversia da parte dell'autorità che si è pronunciata sul ricorso amministrativo.
Ciò peraltro comporta che la competenza territoriale della commissione tributaria va individuata in relazione al luogo in cui ha sede l'Ente locale che ha emesso l'atto originariamente impugnato[8]. Va, quindi, rilevato il difetto di legittimazione passiva qualora i ricorsi avverso le decisioni in argomento siano stati erroneamente proposti nei confronti delle strutture dell' Agenzia.

 

3. Il nuovo ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria

La giurisdizione tributaria[9],  è esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e dalle commissioni tributarie regionali che sono organi di giurisdizione speciale, con sede rispettivamente nel capoluogo di ogni provincia e nel capoluogo di ogni regione, quest’ultime con sezioni staccate, istituite con D.M. 6 giugno 2000, solo nei Comuni sedi di corte d’appello o di sezioni staccate di questa, o di sezioni staccate di TAR o comunque nei capoluoghi di provincia con popolazione superiore a 120.000 abitanti e distanti non meno di 100 Km dal capoluogo di regione[10].

L’organo di autoregolamentazione è rappresentato dal Consiglio di presidenza.

Ciascuna Commissione Tributaria Provinciale e Regionale è presieduta da un magistrato (il Presidente) che,  presiede la prima sezione e che, in caso di impedimento o assenza, è sostituito, nelle sole funzioni non giurisdizionali, dal Presidente di sezione:

-         con maggiore anzianità di incarico;

-         o, a parità di anzianità, con maggiore età.

A ciascuna sezione deve essere obbligatoriamente assegnato un Presidente ed un numero di giudici tributari non inferiore a quattro. Al fine di favorire la turnazione dei giudici tributari all’interno delle diverse Sezioni, l’art. 11 D.Lgs. 545/1992 prevede ora che i Presidenti di Sezione (ad eccezione, ovviamente, del Presidente della Sezione I che è anche, necessariamente, Presidente della Commissione Tributaria), i Vice-Presidenti ed i singoli componenti non possano essere assegnati alla medesima Sezione per una durata superiore a 5 anni consecutivi.

Per poter essere validamente composti e poter, quindi, validamente giudicare, ogni collegio giudicante deve essere presieduto dal presidente della sezione o dal vice-presidente e deve giudicare con numero invariabile di tre votanti

La Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 144 del 23 aprile 1998 ha sancito la compatibilità delle  Commissioni tributarie, aventi natura di giurisdizione speciale, con l’art. 102 della Cost. e la VI disposizione  transitoria della Carta Costituzionale[11].

Le modifiche apportate rispetto alla normativa previgente riguardano:

-         la soppressione dei ricorsi amministrativi;

-         la devoluzione della materia dal giudice ordinario alle commissioni;

-         la possibilità di ottenere la sospensione della riscossione;

-         la possibilità di fruire del procedimento di conciliazione;

-         la possibilità di ricorre al giudizio di ottemperanza.

 

4. Natura del processo tributario

In merito alla natura del processo tributario la disputa dottrinaria concerne due differenti configurazioni:

a)      processo di “annullamento” e quindi giurisdizione sull’atto, soluzione caldeggiata dai sostenitori della “teoria costitutiva”. Per i quali l’atto da impugnare è espressivo di un potere pubblico di imposizione, pertanto l’oggetto del processo viene individuato nell’annullamento dell’atto impugnato;

b)      processo di “accertamento sul rapporto d’imposta”, soluzione caldeggiata dai sostenitori della “teoria dichiarativa”. Per i quali l’atto da impugnare rappresenta solo il mezzo attraverso cui l’ente impositore avanza le proprie pretese, pertanto l’oggetto del processo viene individuato nel sottostante rapporto d’imposta.

La disputa ha trovato la seguente soluzione nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Il processo tributario è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, o più in particolare  di uno degli atti elencati nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, sia con riferimento a vizi formali dell’atto impositivo che sostanziali. Tende, comunque, all’accertamento sostanziale del rapporto, nel senso che l’atto è il “veicolo di accesso” al giudizio di merito, al quale si perviene appunto “per il tramite” dell’impugnazione dell’atto. Quindi concerne la legittimità formale e sostanziale del provvedimento, con la precisazione peraltro che al giudizio di merito sul rapporto non è dato pervenire quando ricorrano determinati vizi formali dell’atto in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi all’invalidazione di esso, con ciò non omettendo affatto di esercitare la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e correttamente esplicandola[12].

Il processo tributario è qualificabile tra quelli di “impugnazione merito” e non  fra quelli di “impugnazione annullamento”, in quanto finalizzato non all’eliminazione dell’atto impugnato, ma a all’emanazione di una decisione di merito, sostitutiva della dichiarazione del contribuente e dell’accertamento già emesso.  Nel caso in cui l’atto presenti dei vizi sostanziali, il giudice non può semplicemente annullare l’atto, ma è tenuto a riesaminare la pretesa entro i limiti posti dalle domande delle parti[13]. L’impugnazione implica il potere-dovere del giudice di quantificare la pretesa entro i limiti richiesti dalle parti[14]

Pertanto, ove il giudice  tributario  non  ritenga  nullo  l'avviso  di accertamento emesso dall'ufficio, procede  ad  una  valutazione  di  merito circa il fondamento della pretesa tributaria e determina  l'imposta  dovuta entro i limiti posti dalla domanda delle parti[15].

Il giudice deve, invece, fermarsi alla pronunzia di annullamento nel caso di "difetto assoluto" o di "totale carenza" di motivazione anche in mancanza di una espressa comminatoria legale di nullità"[16].

In ogni caso, il dibattito è circoscritto alla pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato[17], non essendo consentito al  giudice  tributario,  pur  se  libero  di qualificare giuridicamente  i  fatti  allegati  a  sostegno  della  pretesa fiscale, di estendere la propria indagine in ordine alla  fondatezza  della stessa all'esame di circostanze nuove ed estranee a quelle  originariamente invocate dall'Ufficio[18]. Infatti, il processo tributario è, altresì, configurabile come un processo documentale tant’è vero che non trova ammissibilità il giuramento e la prova testimoniale.

Nonostante tale caratteristica, lo stesso è regolato dai sotto elencati principi costituzionali, applicabili a qualsiasi processo e qualunque sia il giudice:

-         l’inviolabilità della difesa (art. 24 Cost.);

-         l’amministrazione della giustizia in nome del popolo (art.101 Cost.);

-         il giusto processo ed il contraddittorio tra le parti (art. 111 Cost. nel testo novellato dalla L. Cost. 23 novembre 1999 n.2)[19]

 

5. Le recenti modifiche normative

Il contenzioso tributario è stato interessato da significative modifiche per mezzo delle seguenti disposizioni normative:

1.      art. 12 della L. 28 dicembre 2002, n. 448 che ha esteso la giurisdizione delle Commissioni tributarie ai “tributi di ogni genere e specie”(in vigore dall’1 gennaio 2002);

2.      art. 3 bis del D.L. 31 marzo 2005, n. 44, convertito con modificazioni dalla L. 31 maggio 2005, n. 88 che ha modificato l’art. 11 del D.Lgs. n. 546/1992 che ha riconosciuto la capacità dell’Ente locale di stare in giudizio attraverso il dirigente (in vigore dall’1 giugno 2005);

3.      art. 3-bis del  D.L. 30 settembre 2005 n. 203, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005 n. 248 (cd. Collegato alla Finanziaria 2006) che ha modificato gli artt. 7 (requisiti dei componenti delle Commissioni tributarie), 11 (durata dell'incarico) e 44 (nomina componenti Commissioni) del D.Lgs. 545/1992 e gli artt. 2 (giurisdizione), 7 (poteri delle Commissioni tributarie), 12 (assistenza tecnica), 22 (costituzione in giudizio del ricorrente) e 53 (forma dell'appello) del D.Lgs. 546/1992[20] (in vigore dal 3 dicembre 2005);

4.      L. n. 263 del 28 dicembre 2005, recante “interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il D.L. 14 marzo 2005, n.35, convertito con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla L. 21 gennaio 1994, n. 53 e disposizioni in materia di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato”(in vigore dal 29 dicembre 2005);

5.      D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di Cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n.80”;

6.      D.L. n. 223, del 4 luglio 2006 (c.d. "decreto Bersani - Visco"), convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, con l'art. 35, comma 26 - quinquies, che ha integrato l'art. 19 del D.Lgs., n. 546/1992, inserendo fra gli "atti impugnabili e oggetto del ricorso",  la "iscrizione di ipoteca sugli immobili" ed il "fermo dei beni mobili registrati", provvedimenti adottabili in sede di riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo (artt. 77 e 86 D.P.R. n. 602/1973) (in vigore dal 12 agosto 2006);

7.      L. 18 giugno 2009 n. 69 (pubblicata il 19 giugno 2009 in Gazzetta Ufficiale ed in vigore dal 4 luglio 2009) recante  “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, che ha l’obiettivo di perseguire la riduzione dei tempi processuali.

 

5.1  Modifiche alla disciplina dell'organizzazione della giustizia tributaria (D.Lgs. 545/1992)

Con l’art. 3-bis del  D.L. 30 settembre 2005 n. 203, viene ribadito in   primo   luogo   l'onorarietà dell'incarico, precisando che la nomina alla funzione di giudici tributari non costituisce rapporto di pubblico impiego; è previsto altresì che i magistrati debbano lasciare l'incarico a 75 anni ed è inoltre stabilito un divieto di assegnazione per più di cinque anni consecutivi alla stessa sezione della medesima Commissione. Quest’ultima disposizione, che modifica la precedente formulazione della norma, consente a tutti quei giudici tributari, che l'1 aprile 2006 avrebbero dovuto cambiare Commissione per il compimento del decimo anno di mandato, di continuare nella medesima Commissione, passando semplicemente ad altra sezione. Il nuovo art. 11, D.Lgs. 545/1992, stabilisce, altresì, che la vacanza dei posti di presidente, di presidente di sezione, di vice presidente e di giudice è annunciata dal Consiglio di presidenza e portata a conoscenza di tutti i giudici tributari in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale deve essere presentata domanda per l'incarico. La scelta viene poi fatta dal Consiglio di presidenza.    Infine, la modifica dell'art.  44  del  D.Lgs.  n.  545/1992,  reca  la disciplina  transitoria  per  la  nomina  dei  componenti   della   cessata Commissione tributaria centrale nelle Commissioni tributarie provinciali  e regionali. Il previgente  art.  44  prevedeva  che  coloro  i  quali  hanno rivestito la funzioni di componenti della Commissione  tributaria  centrale fino alla cessazione della sua attività fossero nominati nelle  Commissioni tributarie provinciali e regionali, su loro domanda, con  precedenza  sugli altri aspiranti, in base ai previsti criteri di valutazione.

Con la novella, si dispone che coloro i quali siano rimasti  componenti della Commissione tributaria centrale fino alla cessazione dell'attività di tale organo, a partire da tale data entrino a  far  parte  dell'ordinamento giudiziario  tributario  e  siano  nominati  componenti  delle  Commissioni tributarie provinciali e regionali.

 

5.2 Modifiche alla nomina e carriera dei componenti delle commissioni tributarie (D.Lgs. 545/1992)

Altre, novità introdotte con l’art. 3-bis del  D.L. 30 settembre 2005 n. 203 riguardano:

-         l’eliminazione della durata del termine del mandato dei componenti delle commissioni tributarie (termine già prolungato da nove a dieci anni);

-         l’introduzione del principio di rotazione tra le varie sezioni della stessa Commissione. I giudici non potranno essere assegnanti per più di cinque anni alla stessa sezione;

-         le modalità di assegnazione di un nuovo incarico che dovrà avvenire secondo criteri meritocratici; la nomina alla funzione di giudici tributari che non costituisce rapporto di pubblico impiego; l’obbligo per i magistrati di lasciare l’incarico a 75 anni. La vacanza dei posti di Presidente, di Presidente di Sezione, di Vice Presidente e di Giudice è annunciata dal Consiglio di Presidenza e portata a conoscenza di tutti i Giudici in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale deve essere presentata domanda per l’incarico. Il Consiglio di Presidenza effettua la scelta.

 

5.3  Modifiche all’oggetto della giurisdizione tributaria (art.2)

L'art. 3 - bis della L. 2 dicembre 2005, n. 248, di conversione del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 ("collegato" alla Finanziaria 2006), è nuovamente intervenuto sull'art. 2, D.Lgs. 546/1992, precedentemente modificato dall'art. 12, L. 28 dicembre 2001 n. 448. Quest’ultimo aveva  ampliato la giurisdizione tributaria - con decorrenza dall'1 gennaio 2002 - a tutte le controversie concernenti "tributi di ogni genere e specie", compresi quelli "regionali, provinciali e comunali", confermando quindi il favor legislativo verso l'allargamento e l'autonomia della giurisdizione tributaria a scapito di quella ordinaria ed amministrativa.

Con la recente modifica, si rafforza ulteriormente tale impostazione aggiungendo, al c.1, dopo le parole "tributi di ogni genere e specie" la locuzione "comunque denominati". Pertanto, tutto ciò che è possibile ricomprendere nella nozione di tributi è da ricondursi alla giurisdizione tributaria. Inoltre, vengono  affidate  alla  giurisdizione tributaria anche le controversie sul canone per lo scarico e la depurazione  delle  acque reflue  e per lo smaltimento dei rifiuti  urbani,  come  pure  le cause sull'imposta o il canone comunale per  la  pubblicità  e  il  diritto sulle pubbliche affissioni.

E' stato altresì modificato il c.2, al quale è stato aggiunto un periodo, precisando che "appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni". Quest’ultima disposizione è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale  con sent. n. 64 del 14 marzo 2008  nella  parte  in  cui stabilisce  che  “appartengono  alla  giurisdizione  tributaria   anche   le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi  ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni”[21].

 

5.4 Modifiche ai poteri del giudice tributario (art. 7)

Il Legislatore è intervenuto anche sull'art. 7, D.Lgs. 546/1992 sopprimendo il c. 3, che prevedeva la facoltà - peraltro più volte esercitata - da parte delle Commissioni tributarie "di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia", al fine di incentivare l’iniziativa delle parti.

Sul punto, la Suprema Corte ha affermato in  via  generale  che  i poteri d'ufficio vanno usati prudentemente e discrezionalmente dal  giudice e che "le parti non possono dolersi circa l'uso che le Commissioni fanno di tali poteri". Per la Cass. sez. trib. 9  maggio  2003, n. 7129, riveste finalità  meramente  integrativa  dell'onere  probatorio  principale,  solo qualora sia impossibile o sommamente difficile fornire le prove  richieste, da parte di chi vi è tenuto.

Si tratta di una norma che si è prestata, a volte, ad un uso improprio, allorquando l'ordine di acquisizione di particolari documenti ha, di fatto, sopperito alle carenze difensive di una delle parti, sollecitando la prova richiesta per la definizione della controversia (richiedendo magari il processo verbale di constatazione non prodotto in giudizio, ma richiamato per relationem dall'avviso di accertamento), pertanto l'intervento normativo  appare  inteso  a  incentivare  sempre  di  più l'iniziativa delle parti.

 

5.5 Modifiche alla rappresentanza in giudizio (art.11)

Il c. 1 dell’art. 3 bis, sostituendo la precedente previsione del c. 3 dell’art. 11 del D. Lgs. n. 546/1992, il quale stabiliva che l’Ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio mediante l’organo di rappresentanza previsto dal proprio ordinamento, prevede che l’Ente locale possa stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato l’ufficio.

Il successivo c. 2 sancisce l’applicabilità della norma anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.

 

5.6  Modifiche concernenti la difesa tecnica (art.12)

L'art. 12, c. 2, D.Lgs. 546/1992 è dedicato all'elencazione dei soggetti abilitati al patrocinio innanzi alle commissioni tributarie; questi soggetti sono distinti tra coloro che godono di una abilitazione generale e coloro che sono, invece, abilitati solo per alcune materie. Il primo periodo del c. 2 è stato oggetto di una significativa modifica introdotta dal collegato alla Finanziaria 2006, nella parte in cui ha esteso la difesa a competenza piena anche ai consulenti del lavoro, unitamente a dottori commercialisti, ragionieri ed avvocati, purché iscritti nei relativi Albi professionali. Ai consulenti del lavoro, sin dall'entrata in vigore del D.Lgs. 546/1992, era stata riservata la possibilità di difesa soltanto per le controversie aventi ad oggetto le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta relativi alle ritenute medesime; a fronte della modifica legislativa, la suddetta limitazione è stata eliminata.  Nel testo novellato è stato altresì soppresso il richiamo ai procuratori legali, in conseguenza della soppressione del relativo albo ad opera dell’art. 1 della L. 24 febbraio 1997, n. 27.

 

5.7 Modifica alle modalità di notifica e privacy (art.16)

L'art. 37, c. 27 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. n. 248 del 4 agosto 2006 al fine tutelare il diritto alla riservatezza dei dati personali del destinatario dell'atto che non riceva in mani proprie lo stesso dispone che:

-         laddove il consegnatario non è il destinatario dell'atto o dell'avviso, l'agente notificatore “consegna o deposita” la copia dell'atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all'originale e alla copia dell'atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell'atto. Il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e l'agente notificatore dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto o dell'avviso, a mezzo di lettera raccomandata;

-         nelle ipotesi di irreperibilità relativa o assoluta del destinatario dell'atto l'avviso dell'avvenuto deposito presso la casa comunale dell'atto da notificare deve essere inserito in una busta chiusa e sigillata.

 

5.8  Modifica gli atti impugnabili (art.19)

Il D.L. 4 luglio 2006 n. 223 convertito dalla L. n. 248 del 4 agosto 2006 ha espressamente previsto tra gli atti impugnabili elencati dall’art. 19 D.Lgs. 546/1992:

-         l’iscrizione di ipoteca  sugli immobili di cui all’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;

-         il fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni.


5.9 Modifiche alla costituzione in giudizio del ricorrente a mezzo posta (art.22)

La nuova formulazione dell'art. 22, D.Lgs 546/1992 stabilisce che il ricorrente, nel rituale termine di 30 giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d'inammissibilità, provveda al deposito del ricorso nella segreteria della Commissione tributaria adita ovvero alla sua trasmissione "a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento", pertanto si prevede la possibilità di utilizzo del sistema postale in aggiunta alla consolidata modalità di deposito brevi manu.

Sul punto, in passato, in assenza di un preciso riferimento normativo, parte della dottrina e della giurisprudenza di merito avevano sostenuto che la costituzione in giudizio dovesse avvenire, a pena di inammissibilità, esclusivamente con la consegna brevi manu, escludendo la possibilità di fruire del servizio postale. In tal senso era orientata, anche, la Corte di Cassazione, infatti con sentenza 3 aprile 2001 n. 8829 aveva dichiarato inammissibile la costituzione in giudizio del ricorrente effettuata mediante la spedizione del ricorso per mezzo del servizio postale, a nulla rilevando la data in cui l'atto fosse pervenuto in Commissione; ciò in quanto veniva privilegiata la modalità (deposito) piuttosto che il rispetto del termine previsto dalla legge.

A dirimere la questione era quindi intervenuta la Corte Costituzionale (sentenza n. 520/2002) che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo, in relazione agli artt. 3, 24, 77 e 97 della Costituzione, l'art. 22, c. 1 e 2, nella parte in cui non consentiva, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l'utilizzo del servizio postale.

 

5.10 Modifiche alla tutela del credito nella conciliazione giudiziale (art. 48)

Viene espressamente previsto, ad opera dell’art. 1, c. 419, L. 30 dicembre 2004, n. 311 che in caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successive, se il garante non versa l'importo garantito entro 30 giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente l'indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa, il competente ufficio dell'Agenzia delle entrate provvede all'iscrizione a ruolo delle predette somme a carico del contribuente e dello stesso garante.

 

5.11 Modifiche alla procedura di appello (art. 53)

Al c. 2 dell'art. 53, D.Lgs 546/1992 viene aggiunto il seguente periodo "Ove il ricorso non sia notificato a mezzo ufficiale giudiziario l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata". In pratica, oltre all'iscrizione a ruolo del ricorso in appello, da effettuarsi presso la Commissione tributaria regionale nei modi e nei termini previsti dall'art. 22, c. 1, 2 e 3, l'appellante - qualora proponga il ricorso in appello brevi manu o a mezzo posta - deve assolvere all'ulteriore adempimento di depositare una copia dello stesso presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza oggetto di gravame.

La portata innovativa di tale norma risulta di notevole impatto nell’ambito del processo tributario, ove si consideri che tale adempimento è previsto a pena di inammissibilità dell'appello proposto .

In merito, si osserva quanto segue:

-         il nuovo adempimento è previsto solo nel caso in cui la notifica non sia avvenuta a mezzo ufficiale giudiziario;

-         il nuovo adempimento è previsto con esclusivo riferimento all'appello, escludendo quindi l’applicazione agli altri rimedi impugnatori.

Rimane, invece immutato il c. 3 dell'art. 53 che prevede che, subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della Commissione tributaria regionale richiede alla segreteria della provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, contente anche copia autentica della sentenza.

E' da rilevare, inoltre, che il periodo aggiunto dalla novella legislativa non fissa un termine entro il quale assolvere all'adempimento che, tuttavia, è previsto a pena di inammissibilità. A tal proposito in dottrina sono state avanzate varie ipotesi:

-         la parte è sempre in tempo per l'adempimento;

-         l'inammissibilità può essere dichiarata soltanto dopo un'ordinanza, rimasta inevasa, della Commissione tributaria;

-         il termine entro il quale assolvere all'adempimento è il medesimo di 30 giorni previsto per la costituzione in giudizio fissato dall'art. 22 (e richiamato dall'art. 53).

Quest’ultima soluzione in attesa di univoche interpretazioni appare maggiormente cautelativa.

 

6. Novità introdotte da modifiche apportate al codice di procedura civile

6.1. Il D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40

Il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ha aggiunto l’art. 366-bis al codice di procedura civile, introducendo novità in merito alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, con i limiti di applicabilità previsti dalle disposizioni transitorie di cui all’art. 58 della stessa legge.

Il ricorrente in Cassazione, in base a tale disposizione,  è obbligato a concludere l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, riconducibile ad una o più delle fattispecie regolate nei primi quattro numeri dell'art. 360, c.1 con un "quesito di diritto", a pena d’inammissibilità del ricorso.

Tale disposizione è stata successivamente abrogata dalla lettera d) del c. 1 dell’art. 47, L. 18 giugno 2009, n. 69.

6.2. La L. 18 giugno 2009 n. 69

Tra le novità introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69  si segnalano le seguenti:

a)      l’attribuzione al giudice, quando accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, del potere di condannare la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta la pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dall’art. 92 (art. 91 c.p.c.);

b)      la restrizione delle ipotesi di compensabilità delle spese, che oltre ai casi di soccombenza reciproca, potranno essere compensate dal giudice laddove sussistano “gravi ed eccezionali ragioni”. Pertanto non saranno più sufficienti i “giusti motivi” previsti dalla normativa previgente (art. 92 c.p.c.);

c)      la possibilità riconosciuta al giudice, in ogni caso quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art.91, di condannare anche d’ufficio la parte soccombente al pagamento a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (art. 96 c.p.c.);

d)      la necessità, per il giudice, di instaurare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d’ufficio (quali potrebbero essere l’inammissibilità del ricorso, la tardiva costituzione della parte ricorrente) (art. 101 c.p.c.);

e)      la modifica del termine lungo per impugnare le sentenze non notificate che viene determinato in 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza (che nella previgente disciplina era di un anno) (art. 327 c.1 c.p.c.);

f)        l’introduzione della traslatio iudicii tra diverse giurisdizioni. In tal modo viene recepito dal legislatore il principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità con sentenza n. 4109 del 22 febbraio 2007 e, successivamente, della giurisprudenza costituzionale con sentenza n. 77 del 2007. Pertanto il giudice, anziché dichiarare inammissibile il ricorso, dichiara con sentenza la propria carenza di giurisdizione e rimette le parti dinanzi al giudice fornito di giurisdizione. Se entro 3 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, la causa è riassunta dinanzi al giudice fornito di giurisdizione, sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda; la mancata e tardiva riassunzione comporta l’estinzione del processo e le prove raccolte dinanzi al giudice privo di giurisdizione possono esser valutate come argomento di prova (art. 59 della L. n. 69/09);

g)      la necessità di motivare la sentenza anche con riferimento a precedenti conformi (art. 118 c.1 disp. att. c.p.c.);

h)      la validità, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione nei confronti di tutte le parti rappresentate, della notifica della sentenza eseguita in unica copia al procuratore costituito che rappresenti una pluralità di parti (art. 285 c.p.c.), principio  già affermato dalla Cassazione, SS.UU. con sentenza n. 29290 del 15 dicembre 2008;

i)        viene innalzata la pena pecuniaria, fino ad un massimo di 250 euro, a cui con l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, il giudice può condannare la parte che l’ha proposta.

L’art. 58 della disposizione in argomento stabilisce che, salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (c.1). Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli artt. 132, 345 e 616 c.p.c. e l’art. 118 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge (c.2).

7. Novità per il deposito degli atti processuali

Sebbene non contemplata da alcuna disposizione di legge, è stato previsto a partire dal 27 febbraio 2006 l’utilizzo della nota di deposito atti e documenti, nell’ottica di rendere l’acquisizione dei dati processuali più snello e certo e realizzare la piena informatizzazione del processo tributario. Tale modello, disponibile anche sul sito internet www.finanze.it,  correda qualsiasi atto o documento (ricorso, appello, controdeduzioni, istanze ecc.) da spedire o consegnare alle Commissioni tributarie (provinciali, regionali e di I e II grado di Trento e Bolzano). Non va, invece, compilata per gli atti da depositare presso la Corte di Cassazione.

8. Novità in materia di sospensione di atti volti al recupero di aiuti di Stato e definizione  delle relative controversie

Il c. 1 dell’art. 2 del D.L. 8 aprile 2008,  n.  59   ha introdotto nel D.Lgs. n. 546/1992, l’art. 47-bis, rubricato “Sospensione  di  atti  volti  al recupero di aiuti di Stato e definizione delle relative controversie”. Con tale disposizione, il legislatore ha previsto una  disciplina,  a  carattere  speciale, delle controversie aventi ad oggetto gli atti volti al recupero di aiuti  di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione  europea  ai  sensi  dell’art. 14  del   Regolamento   (CE) n. 659/1999 del Consiglio del  22  marzo  1999. Pertanto, al fine di garantire l’esecuzione immediata ed effettiva delle decisioni di recupero, il legislatore ha  introdotto,  con  l’art.  2  del decreto, una disciplina speciale della sospensione giudiziale degli atti  di recupero di aiuti di Stato e della definizione delle  relative  controversie innanzi  alle  Commissioni  tributarie,  prevedendo  in  particolare   delle condizioni specifiche al verificarsi delle  quali  l’Organo  giurisdizionale può concedere la sospensione.

Al riguardo si osserva che, in base all’art. 14,  paragrafo  1,  del predetto Regolamento n. 659/1999, “Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali, la Commissione adotta una  decisione  con  la  quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure  necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario”. Il successivo paragrafo 3 del medesimo art. 14  stabilisce  che  “il recupero va effettuato senza indugio secondo  le  procedure  previste  dalla legge dello Stato membro  interessato,  a  condizione  che  esse  consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione”. In proposito, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha  affermato che “lo Stato membro  destinatario  di  una  decisione  che  gli  impone  di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto, ai sensi  dell’art.  249  CE,  ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione e deve giungere a un effettivo  recupero  delle somme dovute. Occorre rammentare a tale proposito che, ai sensi dell’art.  14,  n.  3, del regolamento n. 659/1999,  l’applicazione  delle  procedure  nazionali  è soggetta alla condizione che queste ultime consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione, condizione  che  riflette  i requisiti imposti dal principio di effettività sancito precedentemente dalla giurisprudenza.  

I commi  4  e  5  dell’articolo  47-bis  del  D.Lgs.  n.  546  del  1992 disciplinano la trattazione nel merito. Al riguardo  si  sottolinea  che  la  concessione   della   sospensione dell’esecutività dell’atto impone una più rapida definizione del giudizio. Pertanto, il primo periodo del comma 4  dell’articolo  47-bis  del D.Lgs. n. 546 del 1992  stabilisce  che  la  definizione  nel  merito  delle relative controversie deve avvenire nel termine  di  sessanta  giorni  dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione.     L’ordinanza di sospensione perde  efficacia  trascorsi  sessanta  giorni dalla  sua  emanazione.  Tuttavia,  su  istanza  di  parte,  la  Commissione tributaria provinciale può nel medesimo termine  riesaminare  l’ordinanza  e disporne la conferma, anche solo parziale. In tal caso il Collegio fissa  un termine di efficacia della  conferma   della  sospensione,  non  superiore  a sessanta giorni e non ulteriormente prorogabile. Il terzo periodo del citato comma 4 stabilisce  che  per  i  termini  in esame non trova applicazione la sospensione feriale, prevista dal 1°  agosto al 15 settembre dall’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742. Nelle  ipotesi  in  cui  la  Commissione  tributaria  provinciale  abbia rinviato  alla  Corte  di  giustizia la questione pregiudiziale sulla legittimità della decisione di recupero, il termine di sessanta giorni per la definizione della controversia  nel  merito  è  sospeso  dal  giorno  del deposito dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale e riprende a decorrere dalla data della trasmissione della decisione della Corte europea.     Ai sensi del comma 5 dell’articolo 47-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, le controversie relative agli atti  di  recupero  in  esame  sono  discusse  in pubblica udienza. Al termine della  discussione,  il  Collegio  delibera  la decisione  in  camera  di  consiglio.  Il  Presidente,  quindi,   redige   e sottoscrive il dispositivo e ne dà lettura in udienza, a pena di  nullità. La sentenza va depositata nella Segreteria della Commissione  tributaria provinciale entro quindici giorni dalla lettura  del  dispositivo  (articolo 47-bis, comma 6 del D.Lgs. n. 546 del 1992). È compito  del  Segretario  far risultare l’avvenuto deposito mediante apposizione della firma e della data, provvedendo immediatamente a darne comunicazione alle parti.

Il comma 7 dell’articolo 47-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992  dispone  che le controversie innanzi alle Commissioni  tributarie  regionali,  aventi  ad oggetto gli atti di recupero di aiuti  di  Stato  illegali,  hanno  priorità assoluta nella trattazione. Inoltre, tutti i termini del giudizio di appello, ad eccezione di quello stabilito per la proposizione del ricorso, sono ridotti alla metà. Il legislatore ha altresì previsto l’applicazione delle disposizioni  di cui ai commi 4, terzo e quarto periodo, 5 e 6 del predetto articolo  47-bis, anche ai giudizi innanzi alle Commissioni tributarie regionali. Per effetto del rinvio alle disposizioni sopra richiamate:

-         non opera la sospensione feriale dei termini di cui all’articolo  1 della citata legge n. 742 del 1969;

-         sono  sospesi  i  termini  processuali  nell’ipotesi   di   rinvio pregiudiziale alla Corte di  giustizia  sulla  questione  della  legittimità della decisione di recupero, disposto dalla Commissione tributaria regionale ai sensi dell’articolo 230 del Trattato istitutivo delle Comunità europee;

-         la trattazione nel merito della controversia  avviene  in  pubblica udienza, con deliberazione in camera di consiglio e  lettura  immediata  del dispositivo in udienza, a pena di nullità;

-         la sentenza deve essere depositata nei quindici  giorni  successivi alla lettura del dispositivo e  immediatamente  comunicata  alle  parti  dal Segretario della Commissione tributaria regionale[22].

   

8.  Applicazione della Legge Pinto (L. n 89/2001) al processo tributario

Il c.1 dell’art. 111 Cost., testualmente dispone: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. Con L. n. 89 del 24 marzo 2001 (c.d. Legge Pinto) è stato riconosciuto il diritto ad una equa riparazione in caso di durata eccessiva dei processi dal quale consegua un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, che all’art. 6, paragrafo 1, impone il rispetto dei termini ragionevoli per la conclusione dei procedimenti giudiziari.

Tale disposizione, si ritiene non applicabile al processo tributario. Infatti, la L. 89/2001 è strumentale all’attuazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed il giudice nazionale deve interpretare tale convenzione in conformità agli indirizzi espressi dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo (che a sua volta ne assicura l’applicazione uniforme), l’art. 3 della L. n. 89/2001 deve essere interpretato (nel coordinamento disposto con l’art. 6 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) nel senso che il principio di un termine ragionevole di durata dei procedimenti non trova applicazione nel processo tributario, in quanto tale contenzioso esula dall’ambito dei diritti ed obblighi di natura civile, nonostante gli effetti patrimoniali che inevitabilmente si producono in capo ai contribuenti[23]. In pratica il diritto tributario viene ricompresso nell’ambito del diritto pubblico[24].

Troverà, in via eccezionale applicazione l’art. 6 della Convenzione europea ai processi tributari, relativo ai principi del giusto processo tra cui la garanzia del contraddittorio e la ragionevole durata,  laddove i giudizi abbiano ad oggetto le pretese del contribuente che non investono la determinazione del tributo, ma solo aspetti a questi consequenziali, come nel caso ad esempio del giudizio di ottemperanza del giudice tributario ex art. 70 del D.Lgs. n.546/1992 ovvero le controversie relative all’applicazione di sanzioni penali – tributarie oppure tributarie che siano assimilabili per la loro gravità sul piano dell’afflittività ad una sanzione penale[25].

In merito alla procedura prevista per la proposizione della domanda di equa riparazione, in seguito alla modifiche approvate dal c.1124 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 (finanziaria 2007), il ricorso va proposto al Ministro dell’economia e delle finanze relativamente a tutti i procedimenti che non siano stati trattati dal giudice ordinario o da quello militare, divenendo tale autortità politica, competente non più per i soli procedimenti a carattere tributario, ma anche per le fattispecie residuali precedentemente di competenza della Presidenza del consiglio. 

 



[1] Ribadita definitivamente dalla Corte Cost. 27 dicembre 1974 n.  287, nella quale si riconosceva alle commissioni la natura di organi giurisdizionali preesisteti in base al combinato disposto dell’art. 102 Cost. che vieta l’istituzione di giudici straordinari o giudici speciali, e della VI disposizione transitoria della costituzione che consente la revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, tra i quali certamente vi rientrano le commissioni tributarie. Fino a tale data come affermato dalla Ris. 14 maggio 1975, n. 400272 “di contro all’opinione prevalente, che attribuiva alla stesse carattere giurisdizionale, una parte della dottrina argomentava a favore della natura amministrativa delle funzioni affidate alle commissioni; ed in giurisprudenza, mentre la Corte di Cassazione riteneva che le dette commissioni rivestivano carattere giurisprudenziale, la Corte Costituzionale sosteneva che le stesse fossero organismi amministrativi”.

[2] Con tali ordinanze la Corte Cost. superava precedenti pronunce con le quali affermava la natura giurisdizionale delle commissioni ed in particolare Corte Cost. 16 gennaio 1957 n. 12 e Corte Cost. 7 dicembre 1964 n. 103.

[3] R.D.L. 7 agosto 1936; R.D. 8 luglio 1937, n. 1516; D.Lgt. 12 ottobre 1944, n. 334.

[4] Un organico commento ministeriale  alla  disciplina  processuale  è stato esplicitato dalle circolari n. 98/E del 23 aprile 1996 e n. 291/E del 18 dicembre 1996.

[5] Il provvedimento normativo si compone di ottanta articoli raggruppati in tre titoli:

-    il titolo I detta disposizioni generali sul giudice tributario e sulle parti del processo;

-    il titolo II regola il procedimento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale ed i mezzi di impugnazione, i procedimenti cautelare e conciliativo, nonché l’esecuzione delle sentenze;

-    il titolo III infine reca disposizioni finali e transitorie.

[6] Cass. SS.UU. 6 luglio 2004  n. 12354  avente ad oggetto  una controversia in materia di TOSAP; Cass. SS.UU. 7 maggio 2003, n. 6954 per la quale “la controversia,  promossa  in  sede  giurisdizionale in data successiva all'1 aprile 1996  -  e cioè nell'intervenuta vigenza ed operatività del D.Lgs. 546/1992  - per contestare, per il tramite dell'impugnazione di specifici atti    impositivi,    l'esistenza    di   obbligazioni   tributarie concernenti la  tassa  comunale  per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, appartiene alla   giurisdizione   delle   commissioni   tributarie,  ai  sensi dell'art. 2 D.Lgs. 546/1992, sia nel testo originario (applicabile "ratione   temporis"),   sia   in   quello  sostituito  ad  opera dell'art. 12  L. 448/01, avendo ad oggetto tributi comunali. Ne'  rileva  in senso contrario la circostanza che, antecedentemente alla data  anzidetta  dell'1 aprile 1996, possa essersi svolto tra le parti un contenzioso dinanzi  ad  autorità  amministrative,  ex  art. 20 del D.P.R. 26 ottobre 1972,  n.  638,  e  che,  nella  vigenza  di  tale norma (poi abrogata dall'art. 71  D.Lgs.  546/1992), detto contenzioso fosse concepito come  prodromico  a  vertenze  riservate alla cognizione del giudice ordinario, atteso  che  il principio della "perpetuatio iurisdictionis" di cui all'art. 5  c.p.c.. importa la irrilevanza dei mutamenti della legge (e/o dello  stato  di  fatto)  rispetto  alla giurisdizione sulle controversie radicate in  sede  giurisdizionale  prima  dei  detti  mutamenti,  ma non può operare in  relazione  a  casi  in  cui  i  mutamenti stessi siano intervenuti prima che il contenzioso fra le parti sfociasse in liti giudiziarie”.

[7]  La decisione della Corte è stata sollecitata dalla considerazione che l’effetto abrogativo dell’art. 20 D.P.R. 638/1972 decorre dalla data di insediamento delle Commissioni tributarie provinciali e regionali (1 aprile 1996 in relazione all’art. 42 D.Lgs. 545/1992), in logica connessione con l’attribuzione alla giurisdizione delle Commissioni tributarie delle controversie concernenti i tributi comunali e locali (art. 2, comma 1, lettera h), del D.Lgs. 546/1992). Conseguentemente é prevista una ultrattività delle disposizioni abrogate con l’art. 71 per i procedimenti contenziosi amministrativi pendenti avanti all’intendente di finanza o al Ministro, di modo che in assenza di diversa disposizione transitoria, l’abrogazione anzidetta non può influire sulle questioni proposte, in quanto il procedimento giurisdizionale avanti al giudice ordinario continua ad essere disciplinato, con riguardo ai termini e alle modalità, dalle norme sulla giurisdizione esistenti al momento della domanda e quindi da quelle anteriormente previste.

[8] Cass.  22 ottobre 2002 n. 14896 avente ad oggetto una controversia, di competenza delle Commissioni tributarie, concernente l'accertamento della debenza o meno del canone per la depurazione delle acque reflue, in ordine alla quale il Ministro si era espresso in sede di ricorso gerarchico ai sensi dell'ormai abrogato art. 20 D.P.R. 638/1972. Sul punto è stata  esclusa qualsiasi possibilità di litisconsorzio con il Ministero dell'economia e delle finanze, in quanto estraneo al rapporto fra Comune e cittadino contribuente avente per oggetto i tributi di competenza dell'ente locale.

[9] Nel D.P.R. 636/1972 non si rinveniva l’espressione giurisdizione tributaria bensì alla rubrica della Sezione I ed all’art. 1, commi 2 e 3 quella di “competenza”, ancorché in dottrina si affermava che tale termine doveva intendersi come giurisdizione. L’espressione giurisdizione è stata infatti introdotta dall’art. 1 del D.Lgs. 546/1992.

[10] In merito all’istituzione delle sezioni staccate delle Commissioni tributarie regionali si veda il comma 1 bis dell’art. 1 del D.Lgs. n. 545/1992 aggiunto dall’art. 35 della L. 18 febbraio 1999, n. 28.

[11] La Corte.Cost. con ord. 23 aprile 1998 n. 144 ha precisato che “per le preesistenti giurisdizioni  speciali,  una  volta  che  siano state assoggettate a revisione, non si  crea  una  sorta  di  immodificabilità nella configurazione e nel  funzionamento,  né  si  consumano  le  potestà  di intervento del legislatore ordinario; che questi conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali, conservati ai sensi della VI disposizione transitoria,  o  di  ristrutturarli  nuovamente anche nel funzionamento e nella  procedura,  con  il  duplice  limite  di  non snaturare  (come  elemento  essenziale  e  caratterizzante  la  giurisprudenza speciale)  le  materie  attribuite  alla  loro  rispettiva  competenza  e   di assicurare la conformità a Costituzione, fermo permanendo il principio che  il divieto di giudici  speciali non riguarda quelli preesistenti a Costituzione  e mantenuti a seguito della loro revisione”.

[12] In merito alla struttura impugnatoria Cass. sez. trib.  18 giugno 2003 n. 9754; Cass. sez. trib. 3 dicembre 2001 n. 15234; Cass. sez. trib. 7 marzo 2002 n. 3345. In senso contrario Cass. sez. trib. 20 marzo 1998  n. 2943; Cass. sez. trib. 18 luglio 1996  n. 6471; Cass. SS.UU. 4 gennaio 1993 n. 8; Cass. sez. trib. 12 aprile 2006 n. 8581; Cass. SS.UU. 26 ottobre 1988 n 5783; Cass. sez. trib. 23 ottobre 1991 n. 11273.

[13] Cass. sez. trib. 1 settembre 2009 n. 19079; CTR Piemonte 10 luglio 2008 n. 29/34/08.

[14] Cass. sez. trib. 6 agosto 2008 n. 21184; Cass. sez. trib 16 maggio 2007 n. 11217; Cass. sez. trib. 12 luglio 2006 n. 15825.

[15] Cass. sez. trib. 12 aprile 2006 n. 8581, con la quale è stata cassata la sentenza di merito che avendo ritenuto non corretto il metodo di calcolo del reddito imponibile utilizzato dall'ufficio aveva respinto  in  toto  la pretesa tributaria. Nella fattispecie esaminata l'atto impositivo non presenta profili di nullità né la sua motivazione si presenta come assolutamente mancante o totalmente carente ma semplicemente insufficiente, per cui la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto, sulla base degli elementi oggettivi acquisiti e delle presunzioni ritenute condivisibili, giungere alla quantificazione del reddito ritenuta congrua rispetto a tali elementi.

[16] Cass., SS.UU. 26 ottobre 1988 n. 5783; Cass. civ. 23 ottobre 1991, n. 11273; Cass. civ. 16 giugno 1989 n. 2898; Cass. SS.UU. 3 agosto 1989 n. 3578.

[17] Cass. civ. sez.  I,  15  marzo 1996 n. 6404.

[18] Cass. civ. sez. I, 19 novembre 1996 n. 10138.

[19] Russo P., Il giusto processo tributario, in Rassegna Tributaria, n. 1/2004, p. 11.

[20] I primi chiarimenti alla novella legislativa sono stati forniti dal ministero con Circ. Min. n. 10/E del 13 marzo 2006.

[21] Si veda argomento

[22] Cfr. Circ. n. 42/E del 29 aprile 2008 Agenzia delle Entrate - Dir. normativa e contenzioso tributario - Sospensione di atti volti al recupero di  aiuti  di Stato - Art. 2 del D.L. 8 aprile 2008, n. 59 – Art.  47-bis  nel  D.Lgs.  31 dicembre 1992, n. 546.

[23] Cass. Sez. I civ. 4 luglio 2005 n. 17497; Cass. sez. trib. 4 luglio 2005 n. 17498. Conforme Cass. sez. trib. 27 agosto 2004 n. 17139; Cass. sez. trib. 17 giugno 2004 n. 11350; Cass. SS.UU. 26 gennaio 2004 n. 1338, n. 1339, n. 1340 e n. 1341; Cass. sez. trib. 25 ottobre 2005 n. 20675.

[24] Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa Ferrazzini contro Italia– sent. del 12 luglio 2001.

[25] Cass. sez. trib. 15 luglio 2008 n. 19367; Cass. sez. trib. 30 agosto 2005 n. 17499; Cass. Sez. I civ. 4 maggio 2004 n. 11350; Corte d’appello di Bologna sez.III civ – decr. 3939/05; Corte Europea dei diritti dell’Uomo, Grande Camera sent. 23 novembre 2006 (caso Jussila contro Finlandia, ricorso n. 73053/01).

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