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 Il giudizio di appello

1. Profili generali

Il giudizio di appello è regolamentato dal Capo III del D.Lgs. 546/1992 e con riferimento alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie vengono richiamate le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile con esclusione dell’art.337 c.p.c.[1] (art.49).

La sentenza della commissione tributaria provinciale può essere appellata, al fine del riesame e della sostituzione, innanzi alla Commissione regionale competente per territorio, che è quella nella cui circoscrizione ha sede la commissione tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza di primo grado. Per le Province autonome di Trento e Bolzano, il giudice competente per l’appello è la commissione tributaria di 2° grado che ha sede nel capoluogo di ciascuna provincia.

Il  termine perentorio per l’impugnazione è:

a)      60 giorni dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte;

b)      oppure nel caso in cui nessuna della parti provvede alla notificazione entro il termine di decadenza di un anno (prolungato dal periodo di sospensione feriale dei termini pari a  46 giorni) per i procedimenti instaurati fino al 3 luglio 2009; ovvero  entro il termine di 6 mesi per i procedimenti instaurati dal 4 luglio 2009.  Il termine lungo decorre dalla data di deposito della sentenza[2]

I termini processuali sono sospesi dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno, così come disposto dall’art. 1 della legge 7 ottobre 1969 n. 742.

A norma dell’art. 4, c. 2, le Commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione.

Come per il giudizio di primo grado, si distinguono due fasi processuali:

1.      una prima fase nella quale il ricorrente porta a conoscenza della controparte l’atto di impugnazione della decisione della CTP, mediante notificazione, consegna o spedizione a mezzo posta fatta in plico raccomandato senza busta[3] con avviso di ricevimento dell’atto di appello.  Dalla data di notificazione alla controparte, decorrono i termini previsti per la costituzione in giudizio dell’appellato ovvero per la proposizione dell’appello incidentale;

2.      una seconda fase nella quale viene investito della controversia il giudice competente, mediante deposito dell'atto di impugnazione della decisione della Commissione provinciale presso la segreteria della Commissione regionale, che può avvenire in originale nel solo caso di appello notificato ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile, mentre, nel caso di notifica a mezzo posta o tramite consegna presso l'Ufficio, il deposito stesso deve avvenire in copia, con acclusa, rispettivamente, la ricevuta postale di ricezione ovvero la ricevuta di deposito, essendo, inoltre, l'appellante tenuto, in questi ultimi due casi, ad attestare la  conformità dell'atto depositato a quello spedito o consegnato[4]. L’omesso  deposito  da  parte  dell’appellante  dell’originale dell’atto di appello, ovvero di copia  conforme  dell’appello  notificato  a mezzo del servizio postale, entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso, nella segreteria  della  competente commissione regionale è vizio sanzionato con l’inammissibilità dell’impugnazione[5].

Il  giudizio  dinanzi   la   Commissione tributaria  regionale  assume  le  caratteristiche  generali  del  mezzo  di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a  carattere  sostitutivo,  con  la conseguente necessità per i giudici di  decidere  nel  merito  le  questioni proposte, non   potendo limitatarsi ad  una  mera  pronuncia  di  illegittimità  e  di  annullamento dell’atto impugnato.  Siffatta  decisione  ricorre  infatti  soltanto  nelle ipotesi di vizi formali dell’accertamento  o  di  atti  presupposti  che  ne costituiscano fondamento giuridico o fattuale[6].

 

2. Contenuto dell’atto di appello

Il ricorso in appello deve contenere, a pena di inammissibilità, i seguenti elementi:

a)      l'indicazione della commissione tributaria regionale a cui è diretto;

b)      l’indicazione dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto[7];

c)      gli estremi della sentenza impugnata;

d)      l'esposizione sommaria dei fatti;

e)      l'oggetto della domanda, che può riguardare la richiesta di riforma, di annullamento totale o parziale della sentenza pronunciata in primo grado;

f)        i motivi specifici dell'impugnazione;

g)      la sottoscrizione in originale dal difensore del ricorrente o dell’appellante stesso nei casi di difesa in proprio ammessi dalla legge.

E’ nell’interesse del ricorrente riproporre anche i casi sui quali il giudice non si è espresso, poichè al giudizio di appello viene sottoposto quanto dedotto nell’atto di appello (tantum devolutum quantum appellatum), infatti i casi  non appellati diventono definitivi (acquiescenza parziale).

L’atto di appello,  può inoltre contenere:

a)      la richiesta di discussione in pubblica udienza[8];

b)      la richiesta di sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado limitatamente alle sanzioni.

 

2.1 Motivi dell’appello

I motivi dell’appello devono riguardare la sentenza della Commissione tributaria provinciale impugnata e non l’atto (avviso di accertamento o di liquidazione ecc). Inoltre, non devono consistere in una generica  doglianza  circa  la  sentenza di primo grado o,  peggio  ancora,  in una  pedissequa  riproduzione  delle precedenti difese, senza una specifica indicazione dei motivi[9].

L'indicazione di specifici motivi di impugnazione  costituisce un requisito essenziale dell'atto di appello, posto che  la  sua  funzione consiste  esattamente  nell'indicare  i  limiti  della  devoluzione,  così consentendo al  giudice  di  secondo  grado  di  individuare  l'oggetto  e l'ambito del riesame, essendo posti in evidenza gli  errori  asseritamene commessi  dal  primo  giudice  e  la  relativa  connessione  causale   col provvedimento  impugnato,   del   quale   s'invoca   la   riforma   (Cass. n. 12589/2004, n. 9270/1999). L'inosservanza  dell'onere  di  specificazione  dei  motivi  di appello determina quindi l'inammissibilità del relativo atto, non sanabile per  effetto  della  costituzione  dell'appellato   (Cass.   n. 12589/2004)[10].

 

3. Inammissibilità dell’appello

Il ricorso di appello è inammissibile nei seguenti casi:

-         è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'art. 18, c. 3 dal difensore dell’appellante e se non reca il conferimento dell’incarico, che deve esser dato secondo le formalità previste dalla legge (con atto pubblico oppure scrittura privata autenticata oppure in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione  autografa è certificata dallo stesso incaricato);

-         riproduce meramente i motivi di primo grado, anziché indicare i motivi specifici di impugnazione, con i quali contrastare le argomentazioni logico-giuridiche della sentenza impugnata, in modo tale da consentire l’individuazione delle questioni costituenti l’oggetto e l’ambito del riesame richiesti al giudice d’appello nonché di evidenziare gli errori commessi dal primo giudice e la relativa connessione causale con il provvedimento impugnato e, quindi di identificare le concrete ragioni per cui se ne invoca la riforma[11]. Pertanto, anche quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, è necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame  siano esposte, sia pure in forma succinta, con sufficiente grado di specificità, contrastando le ragioni addotte dal primo giudice[12]. Non è, quindi, sufficiente il generico assunto che la decisione del giudice di primo grado  sia erronea, né l’onere di specificazione dei motivi di appello può essere assolto con il semplice richiamo per relationem alle deduzioni, eccezioni e conclusioni svolte in primo grado[13]. L’inosservanza di tale onere, non è sanabile per effetto di successiva attività difensiva, in quanto la disposizione che nel procedimento di primo grado, prevede la possibilità di integrare i motivi originari del ricorso, non trova applicazione, in difetto di espresso richiamo, in fase di impugnazione[14];

-         si limita a rinviare all’appello separatamente proposto allo stesso giudice, in altra causa collegata da vincolo di connessione per pregiudizialità[15], anziché contenere l’enunciazione dei motivi;

-         viene proposto brevi manu o a mezzo posta e l’appellante non assolva all’ulteriore adempimento di depositare una copia dello stesso presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza oggetto di gravame. Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena d'inammissibilità, depositare copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, entro il termine di 30 giorni. La novella (in vigore dal 03 dicembre 2005), introdotta dal c. 7 dell'art. 3-bis che ha modificato l'art.  53,  c. 2, del D.Lgs. n.  546,  assume  la  stessa  funzione   di   cui   all'art.   123 disp. att.  c.p.c.   ("Avviso d'impugnazione alla cancelleria"), che così dispone: “L'ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d'impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Il cancelliere deve fare annotazione dell'impugnazione sull'originale della sentenza"[16].

Le disposizioni che stabiliscono l'inammissibilità dell'atto  introduttivo del giudizio  debbono  essere  interpretate  ed  applicate  in  armonia con i principi della Costituzione ed in particolare con il  diritto  alla difesa in giudizio sancito dall'art. 24 della medesima. Di conseguenza  si deve procedere ad  una  interpretazione  restrittiva  dell'art.  22  D.Lgs. n. 546/1992 (cui rinvia l'art. 53 del medesimo decreto  legislativo) e applicare la sanzione estrema  della  inammissibilità  dell'appello  solo  quando siano lesi  profili  sostanziali  del  contraddittorio  processuale.

La Corte ha ritenuto non inammissibile l’appello nei seguenti casi:

-         la  copia  dell'appello  consegnato dal contribuente all'ufficio  risultava priva  di  sottoscrizione, mentre l’originale depositato  in  segreteria  risultava regolarmente sottoscritto[17];

-         l’atto di impugnazione veniva notificato da parte del contribuente, presso un ufficio dell'Agenzia delle Entrate non territorialmente competente, perchè diverso da quello che aveva emesso l'atto impositivo.[18].

 

4. Riproposizione dell’appello e principio di consumazione dell’impugnazione

L’art. 60 del D.Lgs. 546/1992 stabilisce che l'appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge. Tale disposizione ricalca l’art. 358 c.p.c. che prevede la regola della c.d. “consumazione dell’impugnazione”.

Qualora  non sia stata notificata al ricorrente la declatoria di inammissibilità dell’appello è possibile  proporre un secondo atto di appello, che risulta immune dai vizi del precedente, purchè la presentazione del secondo appello avvenga entro i termini perentori previsti per le impugnazioni[19] dal D.Lgs. 546/1992 e in data anteriore alla predetta declaratoria di inammissibilità (in quanto la proposizione del gravame si realizza con la "vocatio in ius" e non con la "editio actionis"). Ai fini del computo dei termini si fa riferimento al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo la stessa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante[20].

 

5. Modalità di notifica dell’appello

Il ricorso in appello è proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, nel rispetto delle forme di cui all’art. 20 c. 1 e 2 del citato decreto, cioè:

-         mediante notificazione tramite ufficiale giudiziario,  in doppio originale su carta da bollo, ai sensi degli artt. 137 e ss. c.p.c.;

-         a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto, in originale su carta da bollo da € 14,62, in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento;

-         mediante consegna diretta, in originale su carta da bollo, all’Ufficio tributario, all’Ente locale che ne rilascia ricevuta. All’Agente della riscossione non potrà essere effettuata   la notifica mediante consegna diretta.

Anche la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre nel giudizio di appello avverso la stessa intentato, le eccezioni e le questioni prospettate e disattese in primo grado. L’omessa riproposizione delle stesse, salvo che le stesse siano rilevabili d’ufficio e non espressamente decise, preclude il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello che legittimamente non le ha prese in esame[21]. Tale principio è stabilito dall’art. 346 c.p.c..

L’ufficio tributario per la notificazione dell’appello potrà avvalersi del messo comunale o del messo autorizzato dall’Amministrazione finanziaria .

 

6. Costituzione in giudizio dell’appellante. Deposito dell’appello

L’appellante nei successivi 30 giorni dalla notifica, a pena di inammissibilità può alternativamente “depositare” o “trasmettere a mezzo posta”, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, nella segreteria della Commissione tributaria regionale:

1)      l’originale dell’atto di appello (in carta bollata), se quest’ultimo è stato notificato all’Ufficio con la procedura di cui agli artt. 137 e seguenti del c.p.c. ovvero a mezzo dell’ufficiale giudiziario;

2)      ovvero la copia  in carta semplice, dichiarata conforme all’originale, dell’atto di appello:

-         unitamente alla ricevuta di deposito (ovvero di avvenuta consegna) rilasciato dall’Ufficio qualora l’atto di appello è stato consegnato direttamente a mani del personale dell’ufficio destinatario;

-         unitamente alla fotocopia della ricevuta attestante l’avvenuta spedizione per raccomandata A.R. (con copia dell’avviso di ricevimento ritornato al mittente) in caso di  spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale.

La conformità dell’atto di appello depositato o spedito alla segreteria, a quello consegnato o spedito alla controparte (originale), è attestata conforme dallo stesso appellante.

La Corte di Cassazione, nella sent. n. 28315 del 21 dicembre 2005 ha statuito che non sempre è insanabile la situazione in cui è depositato il ricorso d’appello prima della sua notifica alla controparte. Infatti, la disciplina del processo tributario stabilisce la sanzione della inammissibilità del ricorso solo per la scadenza del termine. La situazione può essere sanata se le parti hanno avuto la possibilità di mettere in atto la propria difesa e, quindi, raggiungere quel risultato a cui sono destinati gli adempimenti della notifica e della costituzione in giudizio.

Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza.

 

6.1 Deposito di copia dell'atto di appello presso la segreteria della CTP che ha emesso la sentenza impugnata

Se l’appello è stato proposto mediante spedizione postale o consegna diretta, l’appellante dovrà depositare copia dell’atto presso la segreteria della commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata entro il termine per la costituzione, in giudizio in adempimento dell’art. 3 bis c.7 D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248).

Il deposito previsto a espressa pena di inammissibilità di quell'impugnazione, tutte le volte che "il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario” è stato imposto, al fine di conseguire la stessa finalità prevista dall'art. 123 disp. att. c.p.c., ovverosia per consentire al segretario di fare l'annotazione dell'impugnazione sull'originale della sentenza prescritta dal medesimo art. 123, c. 2 dall'ultimo inciso del D.Lgs. 546/1992, art. 53, c. 2".

L'accertamento relativo all'avvenuto deposito di copia dell'atto di appello presso la segreteria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata spetta allo stesso giudice di appello perchè l'afferente accertamento attiene al momento logico di verifica (da operare anche ex officio tenuto conto della sanzione processuale prevista) della sussistenza di quella specifica condizione di ammissibilità del gravame voluta dalla norma; di conseguenza un eventuale errore al riguardo di siffatto accertamento può concretizzare (come, peraltro, sostenuto dallo stesso ricorrente) solo una carenza nella percezione circa la materiale sussistenza di quell'adempimento.

Di conseguenza, la decisione di inammissibilità dell'appello per assunto mancato "adempimento del deposito dello stesso presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale che ha emesso la sentenza impugnata" è fondata, come previsto dall'art. 395 c.p.c., sulla "inesistenza di un fatto" (mancato "deposito" di copia dell'atto di appello presso la segreteria del giudice di primo grado) ritenuta dal giudice. Trattasi, quindi, di errori che consistano in un vizio di assunzione dei fatti, censurabili in base all’art. 395 c.p.c., n. 4, cioè con l'impugnazione della sentenza per revocazione innanzi allo stesso giudice che la ha emessa e non di errori nella valutazione ed interpretazione del fatto censurabili innanzi la Corte di Cassazione[22].

 

7. Mancata riproposizione in appello di  questioni ed eccezioni non accolte

Gli artt. 56 e 57 del D.Lgs. 546/1992 disciplinano rispettivamente l’istituto del giudicato interno[23] ed il divieto dello ius novorum.

In base all’art. 56 D.Lgs. 546/1992 la mancata espressa riproposizione in appello delle questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale s'intendono rinunciate[24], lo stesso vale per le questioni ed eccezioni non esaminate perché ritenute riassorbite dal primo giudice[25], non risultando sufficiente un richiamo generico agli atti di primo  grado[26].

Nel caso in cui, in primo grado,  una  questione  di  giurisdizione  sia stata espressamente risolta in senso sfavorevole  alla  parte  rimasta,  sia pure parzialmente, soccombente nel merito, quest'ultima, ove la  controparte abbia proposto appello (in relazione alle parti della sentenza  che  l'hanno vista soccombente), deve proporre appello incidentale ove intenda  impugnare la  decisione  relativa  alla  giurisdizione,  rispetto  alla  quale si è verificata nei suoi confronti una soccombenza "pratica" e non "teorica", non essendo  sufficiente,  pertanto, la mera riproposizione della medesima questione, ai sensi dell'art. 346 c.p.c. (Cass. SS.UU. n. 12138 del 2004). In sostanza, ove la parte sia stata parzialmente vittoriosa  nel  merito nel giudizio di primo grado, per evitare la preclusione della  questione  di  giurisdizione risolta in senso a lui sfavorevole dal primo giudice, è tenuto a  proporre  appello  incidentale,  non  bastando  la  riproposizione  della questione stessa, ai sensi dell'art. 346 c.p.c.  ad impedire la formazione del giudicato al riguardo e, quindi, a consentirne il  riesame da parte del giudice di secondo grado[27].

 

8. Divieto di proporre in appello domande nuove e nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio

L’art. 57 D.Lgs. 546/1992, introduce il divieto, a pena di inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dello ius novorum, analogamente a quanto già previsto, dall’art. 345 c.p.c. in ambito civile, pertanto  vieta la proposizione in grado d’appello di domande nuove[28] e nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio. L’unica deroga prevista è la richiesta degli interessi maturati dopo la sentenza impugnata.

Il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni  mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti[29], con conseguente inammissibilità di  un  mutamento  dei fatti costitutivi del diritto azionato avanti al giudice  di  secondo  grado (ex plurimis: 22010/2006, 7766/2006, 10896/2005) ciò costituendo inserimento non consentito di un nuovo tema di indagine (Cass. 16829/2007)[30].

Per domande nuove devono intendersi, tutte le domande che, non dedotte nel grado precedente, condurrebbero ad un mutamento dell’oggetto e finirebbero per ampliare il thema decidendum[31].

Si  ha  domanda nuova, improponibile nel  giudizio  d’appello  ex  art.  57  del  D.Lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, quando il  contribuente,  nell’atto  di  appello, introduce, al fine di ottenere l’eliminazione dell’atto  impugnato,  una causa petendi diversa, fondata su situazioni giuridiche non  prospettate  in primo grado, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema di indagine[32].

Per poter qualificare una domanda come nuova, è necessario fare riferimento agli elementi costitutivi di essa, ovvero ai soggetti, al petitum e alla causa petendi. Nel giudizio dinanzi alla Commissione tributaria regionale è preclusa la formulazione di domande che comportino un mutamento dell’oggetto rispetto a quelle dedotte in primo grado ovvero che abbiano un nuovo petitum. Non ogni mutamento della causa petendi conduce necessariamente al mutamento della domanda, in quanto tale mutamento si verifica solo quando implichi una sostituzione dei fatti costitutivi del diritto  dedotto in giudizio. Pertanto si ha mutamento della causa petendi, con conseguente introduzione di una nuova domanda quando il fatto costitutivo della pretesa, sia modificato nei suoi elementi materiali con prospettazione di circostanze precedentemente non dedotte, e non anche quando sia modificato soltanto il profilo giuridico o la norma alla stregua della quale il fatto costitutivo venga dedotto[33]. Ciò si verifica nei seguenti casi:

-         la parte offre una diversa qualificazione giuridica dei medesimi fatti;

-         la parte richiede l’applicazione di norme diverse rispetto a quelle invocate innanzi la commissione provinciale;

-         lo ius superveniens abbia inciso sulla materia del contendere;

-         la domanda abbia un oggetto ridotto rispetto al primo grado.

Per nuove eccezioni devono intendersi i nuovi mezzi di cui una parte si avvale per contrastare le domande della controparte, ampliando l’oggetto del giudizio[34].

Il divieto di proposizione di nuove eccezioni nel giudizio di appello è una novità introdotta con l’art. 52, L. 26 novembre 1990, n. 353, perché in precedenza, secondo l’art. 345 c.p.c. nel testo introdotto dall’art. 36 L. 14 luglio 1950, n. 581, il divieto della novità riguardava le domande, ma non le eccezioni.

Deve escludersi che la norma comporti l'improponibilità con nuovi argomenti di eccezioni già  formulate, nel caso in cui non venga violato il divieto di ampliamento in appello del thema decidendum, al rispetto del quale è funzionale il limite imposto dalla legge[35].

Non costituiscono eccezioni in senso proprio, ma mere argomentazioni difensive e  quindi, proponibili per la prima volta anche in sede di appello:

-         qualsivoglia questione di interpretazione normativa;

-         la questione di legittimità costituzionale di una norma;

-         la deduzione di adempimento dell’obbligazione;

-         la contestazione del valore probatorio dei mezzi istruttori utilizzati in primo grado;

-         la critica al risultato di consulenza tecnica esperita in primo grado;

-         la contestazione relativa agli elementi costitutivi della domanda e ai suoi requisiti di fondatezza;

-         le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di una eccezione in quanto rappresentano quelle ragioni delle parti su cui il giudice non può pronunciarsi se ne manchi l'allegazione ad opera delle stesse parti[36];

-         le eccezioni rimesse all'iniziativa di parte come l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello;

-         il difetto di legittimazione processuale;

-         l’eccezione di compensazione;

-         l’eccezione di prescrizione;

-         l’eccezione di sussistenza di atti interruttivi della prescrizione;

-         l’eccezione di rinuncia al diritto;

-         l’eccezione di giudicato interno;

-         l’eccezione di giudicato esterno. Poiché nel nostro  ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, l'esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa, qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità, che è quella prevista dall'art. 2909 c.c., ma corrispondono entrambi all'unica finalità rappresentata dall'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, la cui autorità di giudicato è riconosciuta non solo nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico. Più in particolare, il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, né subisce i limiti delle decadenze istruttorie. L’allegazione di un giudicato esterno può, infatti, essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito[37];

-         il difetto di giurisdizione non rilevato in primo grado;

-         l’eccezione di incompetenza territoriale.

E’ improponibile per la prima volta in appello l’eccezione, che non sia rilevabile anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 57, c. 2, del D.Lgs. 546/1992. Esemplificando:

-         la nullità dell'avviso d'accertamento non è rilevabile d'ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora sia proposta per la prima volta nelle successive fasi del giudizio[38];

-         nel caso di controversia insorta a seguito di presentazione di istanza di rimborso da parte del contribuente, vanno tecnicamente qualificate "eccezioni" le ragioni opposte dall'Amministrazione finanziaria alla detta pretesa di rimborso. Ne consegue che l’Amministrazione non può in tale sede, introdurre un nuovo tema d'indagine, fondato su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado[39];

-         la deduzione,  effettuata  per  la prima volta in appello, della violazione di un  termine  di decadenza sostanziale stabilito in favore del contribuente. La decadenza   dell'Amministrazione   finanziaria dall'esercizio di  un  potere  nei  confronti  del  contribuente,  in  quanto stabilita in  favore  e  nell'interesse esclusivo del contribuente, in materia di diritti  da  questo  disponibili,  non  può  essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma  deve  essere  dedotta dal contribuente in sede giudiziale, mentre la decadenza  del  contribuente  dall'esercizio  di  un  potere  nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, in quanto stabilita   in   favore   di quest'ultima ed  attinente  a  situazioni  da questa non disponibili - perchè disciplinata da  un  regime legale non derogabile, rinunciabile o modificabile dalle parti - è rilevabile anche d'ufficio[40]. In quest’ultimo caso è deducibile per  la  prima  volta  in  appello la decadenza stabilita dalla legge fiscale in favore  dell'Amministrazione finanziaria, come  nel  caso  di  decadenza  del  contribuente  dal diritto al rimborso per  non  aver  presentato la relativa istanza nel termine previsto dall'art. 38 D.P.R. 29  settembre  1973, n. 602, salvo che sul punto si sia già formato un giudicato interno.

 

9. Divieto di nuove prove in appello

In base all’art. 58, c.1, il giudice d’appello non può disporre nuove prove, salvo:

-       che non le ritenga necessarie ai fini della decisione;

-       ovvero, che la parte dimostri di non averle potuto fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile, requisito richiesto dall'art. 345 u.c. c.p.c..

Per prova nuova in appello si intende quella non dedotta in primo grado, ovvero che, prescindendo dal fatto che il giudice di primo grado l’abbia ammessa oppure no, non sia stata ritualmente richiesta dalla parte.

Tale principio è  contemperato, dal disposto del c. 2, il quale riconosce al ricorrente la possibilità di produrre nuovi documenti nel giudizio di impugnazione. Il giudice tributario di secondo grado  in tali casi è tenuto a verificare la natura del documento prodotto per evitare che si incorra nella violazione del divieto di produzione di nuove prove[41]. Inoltre, tale disposizione deve essere coordinata  con  i caratteri propri del giudizio di secondo grado in  cui  non  possono  essere introdotte eccezioni o tematiche nuove. Infatti solo nel giudizio  di primo grado è prevista  e  disciplinata  l'ipotesi  in  cui  a  seguito  del deposito di documenti non conosciuti da una delle parti si renda  necessaria "l'integrazione dei motivi del ricorso" (art. 24 D.Lgs. 546/92). Questa omessa  previsione costituisce evidente espressione del fatto che - in grado di appello - non è consentito l'ampliamento della materia del contendere neppure attraverso  la produzione di documenti. Di conseguenza, è consentita la produzione in grado di  appello solo di documenti che abbiano una mera funzione di supporto probatorio delle pretese e delle considerazioni già svolte da ciascuna  delle  parti,  e  non invece di documenti che determinino la necessità di ulteriori  contestazioni o deduzioni (non essendo prevista in grado di  appello  la  formulazione  di motivi aggiunti)[42].

Non rientrano nella categoria dei nuovi documenti i precedenti giurisprudenziali, opinioni di dottrina o testi di legge, i quali possono essere esibiti non solo a termini scaduti, ma anche in corso di discussione della causa. Si ritiene esclusa anche la consulenza tecnica.

La facoltà di allegare documenti nuovi è  possibile:

-         nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado;

-         a mezzo memorie illustrative fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione,  termine perentorio, fissato dall’art. 32, c. 1 D.Lgs. 546/1992, al fine di garantire il diritto alla difesa della controparte[43].

La Corte di Cass. sez. trib. con ordinanza n. 4376 del 10 maggio 2004, ha rimesso al primo presidente  affinché valuti la eventuale rimessione alle Sezioni Unite sulla questione dell’applicabilità dell’art. 345, c. 3, alle prove documentali. Infatti, l’art. 345, c. 3 c.p.c. che disciplina l’ammissione di nuovi mezzi di prova in appello è soggetto ad interpretazioni giurisprudenziali difformi all’interno della sez. V in quanto la pronuncia n. 6528 del 2 aprile 2004 ha ritenuto non applicabile il disposto dell’art. 345, comma 3 c.p.c. alle prove precostituite, mentre la decisione n. 3310 del 19 febbraio 2004 ha ritenuto preclusa la produzione di nuovi documenti in appello in un caso di imputabilità alla parte della mancata produzione in primo grado.

La Corte di Cassazione a sezioni unite civili con le sentenze nn. 8202 e 8203, depositate il 20 aprile 2005, ha precisato che nell'ambito del processo civile anche i documenti (prove costituite) e non solo le prove costituende sottostanno al divieto di produzione in appello di nuovi mezzi di prova, che resta ammissibile solo e soltanto se la mancata produzione in primo grado non sia imputabile alla parte che intenda avvalersene, ovvero se il giudice ritiene di superare l’intervenuta preclusione perchè la produzione di alcuni documenti gli appare indispensabile ai fini della decisione.

 

10. Costituzione in giudizio e controdeduzioni dell’appellato

Ai sensi dell’art. 54 del D.Lgs. 546/1992, le parti diverse dall’appellante devono costituirsi  nei modi e termini di cui all’art. 23 depositando apposito atto di controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio, presso la Segreteria della Commissione tributaria regionale, entro 60 giorni dalla data in cui è avvenuta la notifica dell’appello, con le stesse modalità previste in primo grado.

Nel medesimo atto può essere proposto, a pena d’inammissibilità, appello incidentale.

 

11. Appello incidentale

L’impugnazione incidentale può essere proposta soltanto da chi vi abbia interesse e tale interesse sussiste se e nei limiti in cui la parte sia rimasta soccombente.

La proposizione dell’appello principale non preclude la possibilità di produrre un appello incidentale, purchè il primo non sia stato dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 334 c.p.c. “le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c., possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. Se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia”. Tale principio per parte della giurisprudenza si applica anche nel caso in cui l’impugnazione principale sia dichiarata improcedibile, in quanto anche tale pronuncia fa venir meno l’interesse all’impugnazione incidentale tardiva che pertanto va dichiarata inammissibile.[44]

L’appello incidentale non va notificato all’appellante principale e a tutte le parti che hanno partecipato al processo di primo grado, ma va solo depositato, entro il termine perentorio di 60 giorni, decorrente dalla notifica dell’appello principale presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale in tanti esemplari, pari alle parti in giudizio, corredati dai documenti offerti in comunicazione.

Conseguentemente, a prescindere dalla successiva costituzione in giudizio dell'appellante, l'appellato, se intende impugnare la stessa sentenza, deve farlo con le modalità ed i termini di cui al citato art. 54, c. 2, in deroga al disposto dell'art. 333 c.p.c., a pena di inammissibilità.  Infatti, a differenza del codice di rito civile, nel quale non sono previste formalità differenti per appello principale ed appello incidentale che vengono distinti soltanto in ragione della successione temporale[45], il D.Lgs. n. 546/1992 prevede una disciplina particolare per la proposizione dell'appello incidentale. Quest’ultimo deve essere proposto a pena di inammissibilità entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell'appello principale (oppure entro il termine lungo dalla pubblicazione della sentenza), mediante semplice deposito del relativo atto, unitamente alle controdeduzioni all’appello principale[46], presso la segreteria della CTR, senza necessità di  notifica all’appellante principale e a tutte le parti che hanno partecipato al processo di primo grado.

Ciò non significa che non possa accadere che ciascuna parte impugni autonomamente la stessa sentenza, prima che venga a conoscenza della iniziativa dell'altra parte, con la conseguenza che, in tal caso, sarà la successione cronologica a "fare la differenza" tra appello principale ed appello incidentale, secondo la regola generale.

Se, però, una delle parti venga raggiunta dalla notifica della impugnazione dell'altra (non importa se seguita o meno dalla costituzione in giudizio), la prima, per impugnare a sua volta la stessa sentenza, deve seguire l'unica strada obbligata, che è quella tracciata dal c. 2 dell'art. 54, D.Lgs. 546/1992 (termine di 60 giorni e deposito in segreteria, senza preventiva notifica)[47].

 

12. Rimessione della causa alla commissione tributaria provinciale

La sentenza emessa dalla commissione tributaria regionale riesamina la sentenza della commissione provinciale nel merito ed in diritto ed ha efficacia sostitutiva di quella impugnata.

Normalmente il giudice di  secondo  grado  decide  il  merito della  controversia  ordinando,  qualora  lo ritenga necessario,  la rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado. 

 

12.1 Cause di rimessione

In casi eccezionali, che rispecchiano quelli previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., la CTR, non  può decidere la controversia nel merito, ma è tenuta ad annullare la sentenza impugnata e rimettere la causa alla commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata. Ciò si verifica quando la CTR: 

a)      dichiara la stessa competenza declinata (perché la commissione tributaria  provinciale era effettivamente competente per territorio) o la  giurisdizione  negata  dal primo giudice (perché la materia rientrava nella giurisdizione della commissione tributaria); 

b)      riconosce che nel giudizio di primo grado, il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato; 

c)      riconosce che la sentenza impugnata,  erroneamente giudicando, ha dichiarato  estinto  il  processo  in  sede  di  reclamo  contro  il provvedimento presidenziale; 

d)      riconosce   che   il   collegio  della  commissione  tributaria provinciale non era legittimamente composto; 

e)      rileva che manca la sottoscrizione della sentenza da parte  del  giudice  di primo grado. 

Nelle ipotesi in cui invece il vizio non rientra in uno  casi sopra citati è necessario che l’appellante deduca ritualmente quali “specifici motivi d’impugnazione” anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali  ipotesi l’appello fondato esclusivamente sui vizi di rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto d’interesse, per non rispondenza al modello legale d’impugnazione[48].

L'ampliamento  espresso  delle  ipotesi  di   rimessione,   previste dall'art.  59,  elimina ogni dubbio sorto nel sistema previgente sulla  tassatività  o  meno  dei  casi  di   rimessione   e   sulla opportunità  della  integrazione analogica con i casi di rimessione contemplati dagli artt. 353 e 354 c.p.c.. 

 

12.2. Procedimento.

Dopo che la sentenza di rimessione della causa  al  primo  grado  è formalmente   passata   in  giudicato,   è  espressamente  disposto (art.  59,   c.  3)  che  la  segreteria  della   commissione tributaria  regionale,   nei  successivi  30  giorni,  trasmette d'ufficio  il  fascicolo  del   processo   alla   segreteria   della commissione tributaria provinciale, senza necessità di riassunzione ad istanza di parte.

 

12.3 Deposito di memorie

Una volta fissata l'udienza di discussione, può essere depositata una memoria illustrativa, che riassuma l'evolversi del giudizio e riproponga le questioni prospettate ed esaminate in precedenza.

 

13. Riunione degli appelli ed appelli cumulativi

Per esigenze di economia processuale si ritiene ammesso sia la riunione degli appelli qualora quest’ultimi siano proposti contro sentenze diverse ma relative a questioni collegate (ex art. 274 c.p.c.)[49], e sia l’appello cumulativo proposto contro  sentenze rese fra le stesse parti ed aventi ad oggetto identiche questioni[50]. Laddove avvenga la riunione delle impugnazioni avverso due o più sentenze di primo grado ed il giudice d’appello decida una sola delle controversie la sentenza è nulla[51].

 

14. Deposito di documenti e memorie in appello

L’art.61 del D.Lgs. 546/1992 rinvia alle norme relative al giudizio di primo grado ed in particolare all’art.32, c.1 del D.Lgs. 546/1992[52]. Le parti hanno la facoltà di produrre nuovi documenti.



[1] Tale esclusione si giustifica con il fatto che in materia di contenzioso tributario la riscossione provvisoria dei tributi in pendenza di giudizio è regolata dall’art. 68 del D.Lgs. n.546/1992.

[2] Cass. sez. I 11 dicembre 1996  n. 11053 del 1996 per la quale “La lettura in udienza del dispositivo non soddisfa il requisito di completezza della sentenza necessario per l’esercizio del potere di impugnazione”.

[3] L’art.53 del D.Lgs. 546/1992 richiama l’art. 20 c. 2.

[4] Cass. sez. trib. 15 maggio 2002  n. 7033.

[5] Cass. sez. trib. 18 gennaio 2008 n. 1053.

[6] Cass. sez. trib. 28 maggio 2009 n. 15717 per la quale “in  caso   di   accoglimento   dell’appello,   alla riconosciuta fondatezza dei rilievi del contribuente relativi all’imponibile non deve seguire una pronuncia di illegittimità (e quindi  di  annullamento) dell’atto impugnato, ma un giudizio di merito sull’ammontare  delle  imposte dovute  dal  contribuente  in  luogo  di  quelle   accertate   dall’ufficio, richiedendosi la pronuncia costitutiva di annullamento solo nelle ipotesi di vizi formali del l’accertamento o di altri atti pregressi  su  cui  esso  si fondi”. Conforme Cass. sez. trib. 3 agosto 2007 n. 17127.

[7] Cass. sez. lav. 5 maggio 2003 n. 6802 in base alla quale “il requisito dell'indicazione delle parti, previsto dall'art. 366, n. 1, c.p.c. a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione, deve intendersi nel senso proprio della norma generale dettata dall'art. 163, n. 2, c.p.c., e, pertanto, l'inesatta indicazione del convenuto nella parte dell'atto di citazione relativa alla "vocatio in iudicium" non ne pregiudica la validità, se il suo complessivo contenuto e la notificazione all'effettivo contenuto rendono evidente che si è verificato un mero errore materiale”.

[8] Cass. sez. trib.  17 aprile 2001 n. 5643 per la quale “in tema di contenzioso tributario, la richiesta di trattazione in pubblica udienza può essere formulata dalle parti non solo con atto separato, specificamente destinato a tale scopo, ma anche mediante un'esplicita richiesta contenuta nel ricorso introduttivo del processo, nel ricorso in appello o in altri atti processuali a condizione che essi risultino notificati alle altre parti costituite e siano depositati presso la segreteria della commissione nel termine stabilito dall'art. 33, comma 1, d.lg. n. 546 del 1992. Pertanto, il rifiuto della commissione tributaria di trattare la causa in pubblica udienza, qualora la relativa richiesta sia stata formulata con l'atto d'appello, violando il principio del contraddittorio, è illegittimo e rende nullo il procedimento e la sentenza eventualmente pronunciata”.

[9] Cass. sez. trib. 23 ottobre 2001 n. 13012.

[10] Cass. sez. trib.  9 agosto 2006 n. 18006.

[11] Cass. sez. trib.  10 maggio 2005 n. 19077.

[12] Cass. sez. III 28 maggio 2004 n. 10314.

[13] Cass. sez. trib. 20 ottobre 2004 n. 20979; Cass., sez. trib. 6 maggio 2002 n. 6473; Cass. sez. trib. 23 ottobre 2001 n. 13012; Cass., sez. trib. 17 settembre  2001 n. 11646 ; Cass. sez. trib. 25 maggio 2000  n. 11580; Cass.  sez. trib.  25 maggio 2000 n. 11575.

[14] Cass. sez. trib.  5 dicembre 2001 n. 15374.

[15] Cass. sez. I 6 luglio 1999 n. 6965.

[16] Cfr. Circ. Agenzia delle Entrate n. 10/E del 2006.

[17] Cass. sez. trib. 22 marzo 2006  n. 6391 per la quale “l'inammissibilità per difetto di sottoscrizione  del  ricorso  si  verifica  dunque solo quando la sottoscrizione stessa manchi del tutto”..

[18] Cass. SS.UU. 3 luglio 2009 n. 15718 per la quale “tale fattispecie non comporta nè nullità nè decadenza dell'impugnazione, sia per il carattere unitario della stessa Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità, sia, infine, per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato”; Cass. sez. trib. 17 dicembre 2008 n. 29465.

[19] Cass. sez. trib. 8 giugno 2006  n. 18821. Conforme Cass. 2320/2005, 1524/2004, 9569/2000.

[20] Cass. sez. III  5 febbraio 1998 n. 1162 per la quale “la nullità dell'atto d'appello (nella specie perchè sottoscritto da procuratore extra districtum) comporta che il diritto di impugnazione, anzichè consumato come nel caso di inammissibilità del gravame ex art. 358 c.c., deve considerarsi non esercitato. Tuttavia, ciò non incide sull'applicabilità del generale principio desumibile dal comma 2 dell'art. 326 c.c., secondo cui la notificazione dell'impugnazione equivale, agli effetti della scienza legale alla notificazione della sentenza”.  Cass. Sez. III 5 febbraio 1998, n. 1162.

[21] Cass. sez. trib.  23 novembre 2001 n. 2693.

[22] Cass. SS.UU. 30 giugno 2009 n. 15227.

[23] Il giudicato interno è all’interno del procedimento; il giudicato esterno è tra le sentenze. Il momento in cui si forma il giudicato interno assume rilevanza anche in sede di iscrizione a ruolo del tributo dovuto.

[24] Cass. sez. trib. 25 gennaio 2005  n. 4896 per la quale “laddove la società ricorrente, col suo atto d'appello non sottopone a nuovo scrutinio la sua eccezione, non  esaminata dalla Commissione tributaria, opera la presunzione di acquiescenza alla sentenza, che la vide soccombente sia nel merito, sia in ordine a ciascuna delle tematiche che essa aveva posto in discussione. E' evidente che detta acquiescenza, dal momento che si tratta di eccezioni non esaminate nella decisione, ha valore processuale, e non sostanziale, ma, nondimeno, ha determinato la preclusione di ogni riesame a loro riguardo”. Conforme Cass. sez. I 4 marzo 1998 n. 2388 in base alla quale “le questioni esaminabili di ufficio che abbiano formato oggetto, nel corso del giudizio di primo grado, di una ben precisa domanda (od eccezione) non possono più esser riproposte nei gradi successivi del giudizio (sia pur sotto il profilo della sollecitazione dell'organo giudicante ad esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio) qualora la decisione (o l'omessa decisione) di tali questioni da parte del primo giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, per essersi ormai verificata una preclusione processuale (derivante da giudicato cosiddetto "interno") che il giudice dei gradi successivi deve indefettibilmente rilevare. Ne consegue che, accertato, da parte del comune, un determinato imponibile ai fini dell'imposta di famiglia, confermato tale accertamento (prima dalla commissione comunale tributi, poi) dalla G.p.a., annullata tale decisione dalla C.T.C. per mero difetto di motivazione (e senza alcun riferimento di merito agli atti di accertamento del comune, pur oggetto di doglianza da parte del ricorrente), confermato nuovamente, in sede di giudizio di rinvio, il più volte ricordato accertamento dalla G.p.a., rigettata, infine, la nuova impugnazione da parte della C.T.C., ogni eventuale doglianza relativa a presunti vizi dell'accertamento de quo risulta, pertanto inammissibile in sede di ricorso per cassazione proposto avverso la seconda decisione della C.T.C., per effetto della preclusione formatasi, sul punto, a seguito del primo annullamento pronunciato dall'organo di giurisdizione tributaria (avverso la cui pronuncia, quantunque favorevole, sarebbe stato necessario proporre l'immediato ricorso alla S.C. sul punto della mancata pronuncia in ordine ai presunti vizi dell'accertamento del comune)”.

[25] Cass. sez. trib. 19 giugno 2002 n.  2544; Cass. sez. trib. 27 agosto 2001 n. 11272; Cass. sez. trib.  27 ottobre 2000 n. 14196.

[26] Cass. sez. trib. 27 marzo 2003 n. 4625.

[27] Cass. sez. trib. 4 dicembre 2006 n. 25683.

[28] Cass. sez. trib. 23 maggio 2005 n. 10864; Cass.  sez. trib. 12 aprile 2005 n.  7539; Cass. sez. trib. 3 maggio 2002  n. 6347.

[29] Cass. sez. trib. 11 maggio 2006 n. 17059.

[30] Cass. sez. trib. 26 maggio 2008 n. 13509.

[31] La Circolare 23 aprile 1996, n. 98 precisa che, per verificare quando si è in presenza di una domanda nuova occorre far riferimento agli elementi costitutivi di essa, vale a dire ai soggetti, al petitum ed alla causa petendi.

[32] Cass. sez. trib. 30 luglio 2007  n. 16829;  Cass. sez. trib. 23  maggio 2005 n. 10864.

[33] CTC 19 giugno 2001 n. 5741.

[34] Cass. sez. trib. 11 luglio 2002 n. 10112.

[35] Cass. sez. trib.  n. 20623 del 2004 per la quale “incombe a colui che ha chiesto un rimborso la contestazione dell'avvenuto pagamento, la quale non costituisce eccezione in senso stretto, ma mera difesa, e può quindi essere proposta anche in appello, senza incontrare il limite di cui all'art. 57 del D.L.vo n. 546 del 1992”.

[36] Cass. sez. trib. 23 aprile  2002 n. 5895.

[37] Cass.  SS.UU. 25 maggio 2001  n. 226.

[38] Cass. sez. trib.  08 settembre 2003 n. 13087.

[39] Cass. sez. trib.  01 marzo  2005 n. 4320.

[40] Cass. sez. trib.  11 giugno 2004 n. 11521.

[41] Cass. sez. trib.  11 febbraio  2003 n. 2027 per la quale “è ammissibile la produzione di nuovi documenti nel giudizio di secondo grado, indipendentemente dall'impossibilità dell'interessato di produrli in prima istanza per causa a lui non imputabile”; Cass. sez. trib.  9 maggio 2003 n. 7129.

[42] Cass. sez. trib. 18 aprile 2007  n. 9224.

[43] Cass. 8 febbraio 2006 n. 2787 per la quale “il deposito di documenti  in  grado  di  appello,  consentito dall'art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992 in deroga al disposto dell'art. 345 c.p.c., deve avvenire nei modi  e  nei  termini  (venti giorni liberi  prima  dell'udienza)  ricavabili  dall'art.  61  del  citato decreto legislativo, che rinvia  alle  disposizioni  applicabili  in  primo grado. Il termine in questione non viene riaperto a seguito  di  un  rinvio "tecnico" disposto per  infermità del difensore, né il  mancato  rispetto  è sanato dall'acquiescenza della controparte”.

[44] Cass. Sez. II 22 dicembre 2005 n. 28422; Cass. sez. trib. 22 marzo 2006  n. 9452; Cass. SS.UU. 28 luglio 1986 n. 4818. Contra Cass.  Sez. II, 30 settembre 2005 n. 19177. Mentre l’inammissibilità è determinata da cause precedenti o contemporanee alla notificazione dell’impugnazione; l’improcedibilità è determinata da eventi posteriori alla notifica stessa.

[45] Cass. sez. III 9 aprile 2003 n. 5578; Cass. sez. II 2 agosto 2002 n. 11602  per la quale "Il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo".

[46] Cass. sez. trib. 05 dicembre 2005  n. 26391 in base alla quale “la proposizione dell'appello incidentale con atto distinto dalle controdeduzioni, contrariamente a quanto prescritto dall'art. 54, comma secondo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ma comunque entro il termine stabilito, non ne comporta l'inammissibilità, stante il principio di tendenziale limitazione delle ipotesi di inammissibilità nell'ordinamento processuale tributario e il carattere non essenziale della formalità della proposizione congiunta.

[47] Cass. sez. trib. 12 febbraio 2004 n. 12154.

[48] Cass. sez. trib.   27 settembre 2000 n. 2455; Cass. SS.UU. n. 12541 del 1998.

[49] Cass. sez. trib.  11 febbraio 2003 n. 2013.

[50] Cass. sez. trib.  3 luglio 2003  n. 10499 per la quale  “ è ammissibile l'appello proposto con unico atto  avverso  più sentenze relative a distinti  procedimenti  quando  le  pronunce  impugnate siano state  rese  tra  le  stesse  parti  ed  abbiano  trattato  identiche questioni (circostanze che avrebbero consentito la proposizione di un unico ricorso avverso i distinti atti impositivi),  purché,  inoltre,  nell'unico atto le sentenze impugnate cumulativamente  siano  espressamente  indicate, con manifestazione non equivoca della volontà di  impugnarle  tutte  (nella fattispecie, la Suprema Corte ha  cassato  con  rinvio  la  sentenza  della  Commissione  regionale  che  aveva   dichiarato   inammissibile   l'appello cumulativo proposto dall'Ufficio tributario avverso due sentenze  di  primo grado, l'una relativa all'avviso di accertamento e  l'altra  all'avviso  di liquidazione emessi dall'Ufficio del Registro in ordine  all'Invim  pretesa in ordine ad un unico atto di compravendita”; Cass. sez. trib.  24 luglio 2003 n. 11503.

[51] Cass. sez. trib. 14 febbraio 2007 n.  9219.

[52] Si veda argomento.

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