- problema definitorio
- excursus storico sull’interpretazione dell’art. 2059 c.c., in particolare il passaggio dal sistema tripolare (sent. Corte Cost. 1986) al sistema bipolare (sent. gemelle del 2003)
- sent. San Martino del 2008, in particolare:
a) non risarcibilità del danno bagatellare
b) onnicomprensività del danno non patrimoniale
- estensione del danno non patrimoniale alla responsabilità contrattuale
I dibattiti sulla natura e la risarcibilità del danno non patrimoniale sono sempre stati numerosi e non si sono mai sopiti, neanche nel momento in cui si è verificata una vera è propria svolta in riferimento all’argomento, con le “Sentenze San Martino”, definite da un autorevole esponente della dottrina “punto di arrivo e di partenza” sulla tematica di questo danno. Ma che cos’è il danno non patrimoniale? Esso trova la sua collocazione nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, nell’art. 2059 cc. che tuttavia non ci fornisce una definizione di danno, limitandosi solamente a sancire che esso è risarcibile esclusivamente nelle ipotesi previste dalla legge. Bisogna dunque fare uno sforzo di interpretazione, per cercare di darne una definizione e la prima attività utile che possiamo fare, è affermare che il non danno patrimoniale sia qualcosa “in negativo” rispetto al danno patrimoniale e che rappresenti cioè tutto ciò che non è danno patrimoniale. E’ insomma un danno che fa riferimento alla sfera personale del soggetto e non a quella patrimoniale ed è altrettanto, un danno che consente di verificare la tenuta effettiva del sistema della responsabilità.
ma non ci da una definizione di danno dicendo che è risarcibile solo nelle ipotesi previste dalla legge. Bisogna fare uno sforzo di interpretazione, cercando di dare una definizione: la prima attività che possiamo fare è dire che il danno non patrimoniale è qualcosa in negativo del danno patrimoniale, cioè è tutto ciò che non è danno patrimoniale.
Il legislatore del 1942 ha cercato di restringere questa risarcibilità alle sole ipotesi previste dalla legge ed ancora prima , l’art. 1151(del codice del 1865) sanciva il risarcimento delle lesioni ingiuste subite da un soggetto (molto influenzato dal modello francese). Il codice del 1865 non prevedeva espressamente tale risarcibilità, ma ciò non vuol dire che la giurisprudenza non la riconoscesse: sempre sulla spinta dell’esperienza francese, venivano infatti risarciti i cd. dammage moral, cioè danni morali soggettivi, legati alle sofferenze, al pati interiore del soggetto e che derivavano dalla commissione di un illecito. Poichè però non veniva fissato alcun limite alla risarcibilità, in concreto si alternavano anche ipotesi che pur non essendo provviste di un’elevata gravità( anche meri fastidi) , erano capaci di dar luogo a risarcimenti, garantendo così il consolidamento di una prassi in cui risultava ormai risarcibile qualunque pretesa. Fu proprio per questo motivo che ci fu un importante intervento delle Sezioni Unite della Cassazione nel 1924, che stabilì un limite alla risarcibilità del danno morale, circoscrivendola alle sole ipotesi previste dalla legge. Era cioè necessaria l’esistenza di una previsione normativa espressa che disponesse la risarcibilità del danno morale. Ciò non risolse realmente la questione perché la giurisprudenza successiva a tale decisione, tese egualmente a risarcire questi danni, cambiandone soltanto l’etichetta e configurandoli come danni morali indiretti. Più precisamente i danni morali diretti se non espressamente previsti non venivano risarciti, mentre quelli indiretti se non espressamente previsti, ( tutte le conseguenze negative scaturite da un illecito, anche nella forma di meri fastidi) venivano risarciti appunto sotto forma di danni e di conseguenze indirette dell’illecito. In sostanza l’intervento non riuscì ad incidere sull’ampia risarcibilità che aveva contraddistinto la situazione precedente.
. Intervenne quindi in materia, il legislatore del 1942 che, recependo pienamente l’orientamento delle Sez unite, delineò l’ art. 2059 cc, nel quale stabilì la necessaria circoscrizione della risarcibilità del danno ai soli casi espressamente previsti dalla legge.
«La scelta legislativa operata con l'emanazione dell'art. 2059 c.c. (tra le opposte tesi della totale irrisarcibilità del danno morale subiettivo e della risarcibilità, in ogni caso, del medesimo) discende dall'opportunità di sanzionare in modo adeguato chi si è comportato in maniera vietata dalla legge.
Sembrò più giusto parlare di danno non patrimoniale, rispetto ad un danno “morale” , perché quest’ultimo risultava troppo legato ad un profilo soggettivo, diversamente dalla prima denominazione che invece, presentandosi come più ampia, si prestava anche meglio ad una funzione definitoria e ad una sistematica codicistica. Tutto questo tuttavia , non risolse i problemi giurisprudenziali, perché delimitare il risarcimento alle sole ipotesi previste dalla legge non appariva un criterio sufficiente per orientare il giudice. Si sarebbe raggiunta in tal senso una maggiore chiarezza, solo con un successivo Intervento nel 1986 della Corte costituzionale.
Ma prima di trae intervento, la materia veniva regolata anche dall'art. 185 cp.( Codice Rocco del 1930) secondo cui venivano risarciti in ambito civile tutti i danni derivanti dall’illecito penale: le ipotesi espresse dalla legge erano quindi costituite dai soli casi di lesioni in cui venisse accertata la commissione di un reato. Questa impostazione però non appariva adeguata, giacchè finiva per limitare la risarcibilità del danno non patrimoniale al solo caso di una sofferenza, di un dolore troppo legato alla sfera intima del soggetto, che invece il Codice- come si evince dalla relazione- aveva tentato di superare attraverso l’introduzione di un’accezione più ampia del danno non patrimoniale, che travalicando la sfera del “danno morale”, fosse onnicomprensiva di molte più ipotesi, tra le quali si inseriva anche il danno biologico, successivamente poi abusato da dottrina e giurisprudenza. Il danno da reato insomma, che costituiva l’unica ipotesi normativa espressa di danno non patrimoniale, aveva una sfumatura troppo soggettiva perché si riconnetteva alle sofferenze patite da un soggetto in seguito alla commissione di un illecito penale(sfera intima, morale appunto) e nulla aveva a che vedere con una lesione psico-fisica che risultava invece soltanto eventuale, poiché poteva essere presente o meno in quella specifica situazione. Successivamente si giunse addirittura ad affermare che non fosse risarcibile alcun danno di tal tipo ,e citiamo in proposito l’ affaire “Gennarino”, che costituì il lade in case del danno non patrimoniale e pose le basi per un successivo riordino della responsabilità civile. Gennarino era il figlio di un guantaio che fu investito durante un incidente stradale a proposito del quale però non si riuscì in sede giudiziale ad affermare la responsabilità del conducente. Il mancato accertamento della commissione del reato (cui sarebbe stata collegata la risarcibilità del danno non patrimoniale) impedì che egli ricevesse un risarcimento per la lesione psico-fisica subita. Il figlio del guantaio non riuscì nemmeno ad ottenere un risarcimento di natura patrimoniale, dal momento che quest’ultimo risultava all’epoca collegato alla capacità reddituale del soggetto, ossia alla capacità di lavorare e produrre reddito, ritenuta nel caso di Gennarino inesistente, perché egli, figlio di un guantaio, non avrebbe potuto essere più di un semplice guantaio. Il caso destò un forte scandalo e ci si chiese in che i soggetti più deboli, avrebbero potuto ottenere una tutela effettiva con una impostazione della risarcibilità di questo genere. Si palesò una necessaria rilettura dell’art. 2059 perché se così non fosse stato, si sarebbe potuta sollevare una questione di legittimità che avrebbe condotto ad una declaratoria di incostituzionalità dell’art. 2059.
Per tale ragione, nel 1986 ci fu un’ interpretazione correttiva dell’art. 2059 ad opera della Corte costituzionale, che ricercò una rilettura del 2059 proprio al fine di sottrarlo da una potenziale censura di incostituzionalità. La Corte optò per la tecnica del travaso, trasferendo cioè una serie di lesioni dall’art. 2059 al 2043 ed archiviando in tal modo la questione dei danni non patrimoniali. Secondo l’interpretazione allora corrente dell’art. 2059 venivano ricompresi nel novero dei danni risarcibili tutti e solo i danni - conseguenza (della commissione di un reato) che erano diversi dal danno - evento. Qual è la differenza tra i due? Il danno- conseguenza si riferisce a tutte le conseguenze negative della lesione ed è risarcibile. Il danno-evento invece, è la lesione in re ipsa, cioè la lesione in sé, molto criticato dalla giurisprudenza (un es. è il danno ambientale che costituisce forse l’unico esempio di danno-evento) perché difficilissimo da provare.
Prima di tale intervento la materia veniva regolata anche dall'art. 185 cp. secondo cui venivano risarciti in ambito civile tutti i fatti derivanti dall’illecito penale: le ipotesi espresse dalla legge erano solo le ipotesi in cui veniva accertata la commissione di un reato.
Nelle intenzioni del legislatore penale del 1930, il danno non patrimoniale, di cui al secondo comma dell'art. 185 c.p., costituisce l'equivalente del danno morale subiettivo» (Corte Cost. sent. n. 184/1986) .
Niente però aveva a che vedere con una lesione psico fisica, quindi si giunse ad affermare che non fu risarcibile alcun danno di tal tipo (es. caso affer- gennarino, che fu investito, ma non si riuscì ad affermare la responsabilità del reato del conducente, e proprio per questo motivo egli non ricevette alcun risarcimento per la lesione psico fisica subita. Non ebbe nemmeno il risarcimento di natura patrimoniale, all’epoca collegato alla responsabilità reddituale del soggetto, cioè alla capacità di lavorare, ma alla i soggetti più deboli come dovevano fare per ottenere la tutela?) era necessaria una rilettura dell’art. 2059 altrimenti si sollevava questione di legittimità.
1986: interpretazione correttiva della corte costituzionale (Ccost. 1986) , per sottrarlo a giudizio di incostituzionalità, cercava una lettura per salvare questo articolo e attraverso la tecnica del travaso, cioè trasferendo una serie di lesioni dall’art. 2059 al 2043 chiuse la questione dei danni non patrimoniali. Secondo l’interpretazione allora corrente dell’art. 2059 venivano ricompresi nei danni risarcibili tutti i danni - conseguenza (della commissione di un reato) che sono diversi dal danno - evento. Quale è la differenza tra i due? Il danno evento è la lesione in re ipsa, cioè la lesione in se, molto criticata dalla giurisprudenza (un es. è il danno ambientale) perché difficilissimo da provare. Il danno - conseguenza invece ricompende tutte le ipotesi negative che possono facilmente essere provate e risarcibili ex. art. 2059.
La corte quindi crea la figura del danno evento, non rendendolo più risarcibile ex art. 2059, ma dall’art. 2043 cc.: si era creata una nuova figura, quella relativa alla lesione del patrimonio personale, economicamente valutabile. Perciò la lesione psicofisica era risarcibile come un danno evento.
“L'art. 2043 c.c. é una sorta di “norma in bianco”:
►►►mentre nello stesso articolo è espressamente e chiaramente indicata l'obbligazione risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo,
►►►non sono individuati i beni giuridici la cui lesione é vietata, in quanto la norma pretende solo che si tratti di un danno “ingiusto” .
In particolare “L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, primo comma, Cost. e 2043 c.c.; più precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima”,
Posta questa differenza di tipologia, in quel contesto Il danno- conseguenza includeva tutte le conseguenze negative di un illecito penale che potevano facilmente essere provate e risarcite ex. 2059. La Corte perciò, per sopperire alla mancata risarcibilità della lesione in sè, provvide alla creazione della figura del danno-evento, configurandolo come lesione dell’integrità psico-fisica e non rendendolo più risarcibile ex art. 2059, bensì ex art. 2043 cc. la risarcibilità del danno evento ex art. 2043 (relativo al danno patrimoniale) risultò possibile poiché la lesione dell’integrità psicofisica ( danno biologico) era relativa alla salute che costituiva indubbiamente “posta attiva” del cosiddetto patrimonio personale di un soggetto, economicamente valutabile. Si passò così da un sistema bipolare che contemplava la risarcibilità dei danni patrimoniali ex 2043 e non patrimoniali come conseguenze di un illecito ai sensi del 2059, ad un sistema tripolare che prevedeva invece la risarcibilità di:
1) Un danno-conseguenza di natura patrimoniale risarcibile ex art. 2043
2) Un Danno-evento (biologoico)di natura non patrimoniale risarcibile ex art. 2043 poiché la salute era posta attiva del patrimonio personale di un soggetto. Esso era risarcibile come lesione in sé.
3) Un danno morale soggettivo –conseguenza di un illecito (combinato disposto dell’art. 2059 e 185 cp.) risarcibile ai sensi dell’art. 2059.
Avevamo UN SISTEMA TRIPOLARE
1) Un danno evento di natura non patrimoniale risarcibile ex art. 2043
2) Danno morale soggettivo conseguenza di un illecito, combinato disposto art. 2059, ex art. 185, risarcibile ex art. 2059
3) Un danno non patrimoniale ex art. 2059
Per poter distinguere il danno biologico dai danni morali subiettivi, come dai danni patrimoniali in senso stretto, occorre chiarire la struttura del fatto realizzativo della menomazione dell'integrità bio - psichica del soggetto offeso.
Ed a tal fine va premessa la distinzione tra evento dannoso o pericoloso, al quale appartiene il danno biologico, e danno - conseguenza, al quale appartengono il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale.
Vale, infatti, distinguere da un canto il fatto costitutivo dell'illecito civile extracontrattuale e dall'altro le conseguenze, in senso proprio, dannose del fatto stesso. Quest'ultimo si compone, oltrecché del comportamento (l'illecito é, anzitutto, atto) anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni danno é, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso é, infatti, conseguenza dell'atto, del comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere, anche in diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, é momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo é momento dinamico ed il secondo momento statico del fatto costitutivo dell'illecito. Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le conseguenze, in senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito, causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalità.
Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del danno - conseguenza in senso stretto.
La menomazione dell'integrità psico - fisica dell'offeso, che trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non é per nulla equiparabile al momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico del danno morale subiettivo) costituisce l'evento (da provare in ogni caso) interno al fatto illecito, legato da un canto all'altra componente interna del fatto, il comportamento, da un nesso di causalità e dall'altro, alla (eventuale) componente esterna, danno morale subiettivo (o danno patrimoniale) da altro, diverso, ulteriore rapporto di causalità materiale. In senso largo, dunque, anche l'evento - menomazione dell'integrità fisio - psichica del soggetto offeso, é conseguenza ma tale é rispetto al comportamento mentre a sua volta é causa (ove in concreto esistano) delle ulteriori conseguenze, in senso proprio, dell'intero fatto illecito, conseguenze morali subiettive o patrimoniali.
Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, é danno - conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo; il danno biologico é, invece, l'evento, interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere ed essere provato, non potendosi avere rilevanza delle eventuali conseguenze esterne all'intero fatto (morali o patrimoniali) senza la completa realizzazione di quest'ultimo, ivi compreso, ovviamente, l'evento della menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto offeso.
Il danno - biologico (o fisiologico) é danno specifico, é un tipo di danno, identificandosi con un tipo di evento. Il danno morale subiettivo, invece, un genere di danno - conseguenza, che può derivare da una serie numerosa di tipi di evento; così come genere di danno - conseguenza, condizione obiettiva di risarcibilità, é il danno patrimoniale, che, a sua volta, può derivare da diversi eventi tipici.
QUINDI COS’è IL DANNO EVENTO? semplicemente è il danno , primo attributo dell’ evento dannoso, es . incidente stradale , la condotta in stato di ebbrezza o la condotta con intenzione di uccidere, quindi dolosa, provoca l’incidente stradale , e qual è il primo danno di qst incidente? La rottura dell’ automobile e la rottura del femore , questi sono danni evento, i danni conseguenti ai primi danni che attribuiscono all’ evento l’ attributo di dannosi sono quelli chiamati danni- conseguenza , tutti però indipendentemente dal nomen iuris sono danni conseguenza perché conseguono all’ evento e come tali devono essere provati. E quindi non sia la categoria del danno- evento una scusa per dire che ci sono danni che si provano e danni che non si provano perche si provano tutti e si allegano tutti, serve solo per forzare il 1223 cc.. Quindi il danno biologico sta nell’ evento e diventa danno-evento, i danni poi che conseguono a questo sono i danni- conseguenza, e questi si risarciscono ex art. 1223 se sono diretti e immediata conseguenza dell’ evento dannoso,
Tutto questo tuttavia non fu soddisfacente, poichè dopo vennero in evidenza altri tipi di problemi ,primo tra tutti quello di dover gestire la risarcibilità legata non solo alle lesioni del diritto alla salute, ma anche di tutti gli altri diritti costituzionalmente garantiti che ad esso si affiancavano. Ci riferiamo al cosiddetto “Danno Esistenziale” che s’inserisce senz’altro in questa cronistoria del danno non patrimoniale. Secondo questa impostazione, il danno non patrimoniale risultava composto:
-
dal danno morale soggettivo ,
-
dal danno biologico (risarcibile ex 2043);
-
e infine dal danno esistenziale( risarcibile perché connesso alla lesione di un altro diritto costituzionalmente garantito) e questo fece sì che in concreto vi fosse una vasta schiera di danni concretamente risarcibili , appunto come danni non patrimoniali.
Per tali motivi intervennero le Sezioni Unite, che con le sentenze gemelle del 2003 intesero risistemare la situazione, operando una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059
L’affermazione definitiva dell’ampliamento nel diritto vivente della nozione di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. si ebbe con cinque storiche sentenze del maggio del 2003 pronunciate dalla Corte di Cass., Sez. III:.
Esse affermarono che nell’articolo 2059 dovessero rientrare tutti i danni non patrimoniali: venivano in sostanza riportati tutti i danni dall’art. 2043 all’art. 2059, secondo un criterio di “tipicità elastica” (la cui dizione però è da ascrivere all’orientamento successivo del 2008). La tipicità elastica implica che L’art. 2059 si riferisca sì -come si evince dalla disposizione- ai casi previsti dalla legge, ma anche che elasticamente il concetto di “legge” comprenda non solo la legge ordinaria, ma anche quella costituzionale ed infine che ,poiché quest’ultima protegge i diritti fondamentali, allora è chiaro che la tutela debba essere affidata non più ad una risarcibilità riconosciuta nell’alveo dell’art. 2043 attraverso una finzione, ma all’art. 2059 cc. (soprattutto se si parla di diritti della personalità che evocano nell’immediatezza un carattere non patrimoniale ). Il danno biologico e il danno esistenziale vengono così riportati alla tutela ex art. 2059 cc. e riconosciuti come diritti costituzionalmente garantiti la cui tutela minima è quella risarcitoria, a maggior ragione una tutela non patrimoniale. Le Sezioni Unite riescono così ad “ eliminare” (superare) il problema della risarcibilità del danno- evento( lesione in re ipsa) ed operando questo passaggio riescono altresì a rendere risarcibili nella prassi tutte le conseguenze negative che derivano dalla lesione di un diritto costituzionalmente garantito. Dopo l’intervento ritorniamo pertanto ad un sistema bipolare, in cui l’art. 2043 riconosce il risarcimento di tutte le conseguenze di natura patrimoniale e l’ art. 2059 riconosce il risarcimento di tutte quelle di natura non patrimoniale( nella sub-specie conseguenze derivate da danno morale soggettivo, biologico ed esistenziale). .
Le sentenze della Corte di Cass. nn. 7281, 7282, 7283 del 12 maggio 2003 si fondavano su due nuove premesse:
►►► il danno patrimoniale non doveva più essere risolto nel solo danno morale soggettivo, ossia nel perturbamento soggettivo scaturente da un fatto costituente reato, ma in qualunque lesione di un interesse non patrimoniale della persona dotato di rilievo costituzionale, rispetto ai quali beni della persona a rilevo costituzionale la tutela risarcitoria costituisce una forma di tutela minima indefettibile.
►►► erano mutati i rapporti tra processo civile e penale a seguito dell’introduzione del nuovo c.p.p. (entrato in vigore nell’ottobre del 1989), ed era venuta meno la preminenza della giurisdizione penale su quella civile (articoli 75 e 652 c.p.p. vigente), al punto da rendere possibile finanche un contrasto tra gli esiti due giudizi (civile e penale) in ordine allo stesso fatto—reato
Le sentenze del 31 maggio 2003 chiarivano che:
►►► il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. doveva essere considerato una categoria ampia, non risolventesi nel solo danno morale scaturente da reato
►►► la categoria del danno non patrimoniale è unitaria e non si può ritenere proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo
Ecco che si affaccia in questa cronistoria il cd. Danno Esistenziale.
Quindi fino ad ora il danno non patrimoniale si è composto del danno morale, dal danno biologico e infine del danno esistenziale: quindi inizia ad essere risarcibile una grande schiera di diritti, perciò intervengono le sent. gemelle del 2003 a risistemare la situazione operando una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059, dicendo che in esso devono cadere tutti i danni non patrimoniali: vengono riportati tutti i danni dall’art. 2043 all’art. 2059, secondo un criterio di “tipicità elastica”. L’art. 2059 si riferisce ai casi previsti dalla legge, ma si riferisce non solo alla legge ordinaria, ma anche a quella costituzionale, e poiché questa protegge i diritti fondamentali allora la tutela deve essere affidata all’art. 2059 cc. (soprattutto se si parla di diritti della personalità).
Il danno biologico e il danno esistenziale vengono riportati alla tutela ex art. 2059 cc. come diritti costituzionalmente garantiti: la tutela minima è quella risarcitoria, quella successiva è quella non patrimoniale. Operando questo passaggio si risarciscono tutte le conseguenze negative che derivano dalla lesione di un diritto costituzionalmente garantite.
Ritorniamo ad un sistema bipolare, in cui l’art. 2043 tutela tutte le situazioni da cui deriva un danno patrimoniale e art. 2059 per danno non patrimoniale. (cass civ sez III sent 8827/2003)
►►► Consacrò la natura “bipolare” del sistema di responsabilità civile per danni.
►►► Diede nuova linfa al dibattito tra esistenzialisti ed antiesistenzialisti circa la reale portata della riserva di legge ex art. 2059 c.c
Prendendo spunto dalla singolare nota “Vincitori e vinti (...dopo la sentenza n. 233/2003 della Corte costituzionale)”di P. Cendon, può dirsi che l'attuale “mappa generale del danno aquiliano sarebbe (...) da articolare (...) secondo una scansione intonata al 2+3 o al 2+2 (quest'ultimo caso ricorre qualora il danno biologico venisse ricondotto nell'ambito del danno esistenziale)”.
In particolare, fermo restante l'originaria spaccatura tra danno patrimoniale (consistente nella perdita di un bene o utilità monetariamente quantificabile) e danno non patrimoniale (viceversa slegato da oggettive quantificazioni reddituali), la vecchia tripartizione (danno patrimoniale, biologico, morale derivante da illecito penale) è stata via via sostituita dalle diverse categorie che di seguito si riportano:
a) all'interno del danno patrimoniale, strettamente inteso come deminutio patrimonii, permane la bipartizione fra:
a.1) danno emergente;
a.2) danno da lucro cessante;
b) all'interno del più ampio quadro del danno non patrimoniale, espressamente previsto dall'art. 2059 c.c. come risarcibile solo “nei casi previsti dalla legge”, si distinguono le tre subspecies di:
b.1) danno morale soggettivo (il c.d. pretium doloris o patema d'animo), inteso come sofferenza interiore di carattere temporaneo o transeunte e/o come turbamento dello stato d'animo della vittima, di cui si afferma ormai espressamente la risarcibilità indipendentemente dal collegamento a fatti o atti che abbiano una riconosciuta rilevanza penale ex art. 185 c.p.. Principio, quest'ultimo, affermatosi nel 2003, con le note sentenze nn. 7281, 7282 e 7283 della Cassazione[7] riguardanti danni da circolazione dei veicoli e da attività pericolose, con cui sono stati superati i tradizionali limiti risarcitori, prima ricondotti all'art. 2059 c.c., per così riconoscere, a pieno titolo, la risarcibilità del danno morale ogniqualvolta sia ravvisabile - a prescindere dalla lettura strictu sensu dell'art. 185 c.p. ormai superata e quindi anche solo in astratto - una fattispecie di reato, pur nei casi di colpa presunta e non accertata in concreto.
b.2) danno biologico in senso stretto, come sola lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito (ex art. 32 Cost.), all'integrità psichica e fisica della persona, purché “suscettibile di accertamento medico-legale”, come definito - per la prima volta - dall'art. 13 del D.lgs. n. 38/2000 di riassetto dell'INAIL ovvero dall'art. 5 della L. n. 57/2000 (che ha introdotto la tabella degli importi risarcitori del danno biologico di lieve entità da incidenti stradali). Naturalmente il danno alla salute rientra sempre nei “casi previsti dalla legge”, ricevendo espressa tutela dall'art. 32 della Carta Costituzionale.
b.3) danno c.d. esistenziale, che è in sintesi il vulnus modi vivendi , una rinuncia ad un facere, ad una attività positiva derivante dalla lesione di interessi (diversi da quello della salute) di rango o rilevanza costituzionale inerenti alla persona, che - in quanto danno-conseguenza - andrebbe a ricomprendere tutte quelle ipotesi in cui l'atto illecito del terzo, pur non incidendo sulla salute, né sul patrimonio della vittima, comporti per il soggetto leso una preclusione dello svolgimento di attività non remunerative ma abituali e gratificanti, con la conseguenza di provocare un forzoso sacrificio nello svolgimento di quelle situazioni che sono comunque fonte di compiacimento o benessere per l'individuo.
L’approdo ultimo sulla tematica però, come già detto prima, è rappresentato dall’orientamento delle Sezioni unite del 2008 che costituisce un punto di partenza e al contempo di arrivo per le successive dissertazioni che si alterneranno in merito a tale questione. Le Sezioni unite intervennero su un’ordinanza di remissione che pose l’interrogativo sull'esistenza o meno del danno esistenziale e cercarono di fissare dei limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale che, nonostante le precedenti interpretazioni, destava comunque perplessità e problemi legati all’assenza di definizione e perimetrazione ( risultavano risarcibili anche le cd fattispecie bagatellari, ossia i meri fastidi). Mentre infatti nell’art. 2043 il legislatore esprimeva delle caratterizzazioni ben precise del danno quali l’elemento soggettivo(dolo o colpa),l’ingiustizia del danno, il nesso materiale ed il nesso giuridico, l’art. 2059 cc. invece, si riferiva solo alle ipotesi previste ex lege, sicchè al di là dei chiarimenti interpretativi che si erano alternati, restavano ancora dei problemi di decodificazione, soprattutto anche al fine di evitare ambigue duplicazioni risarcitorie. Spesso infatti, sotto la dicitura “danno morale, biologico ed esistenziale” si finiva per risarcire più volte uno stesso danno, a discapito di quanto affermato nel nostro ordinamento, all’interno del quale vige il generale principio dell’integralità del danno, secondo cui è opportuno che siano risarciti tutti e soli i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito. Ed il termine “soli” richiede appunto che la risarcibilità non sia estesa a diverse ed ulteriori ipotesi. Le duplicazioni di risarcimento , unite ad oggettive difficoltà di delimitazione, demarcazione e definizione del danno non patrimoniale destavano un forte scompenso nell’ambito della giurisprudenza, che si estendeva peraltro, anche ad un reale dubbio riguardante l’effettiva esistenza del danno esistenziale sulla quale intervennero appunto le sentenze gemelle del 2008.
Le S.U. con quattro sentenze gemelle (vedi sent. 2009 sul danno da vacanza rovinata) recepiscono orientamento del 2003, ma con un passo ulteriore, rispondendo al quesito dicendo che non si può discorrere di danno morale, esistenziale e biologico, perché la preoccupazione era del duplice risarcimento, il danno non patrimoniale è uno, tutte le altre sono etichette definitore che si usano per rendere concreta la fattispecie. Il danno quindi è un danno non patrimoniale, quindi sembra rispondere in senso negativo all’ordinanza di remissione. Sono un punto di arrivo perché arrivano all’esito dell’interpretazione dell’art. 2059, anche se dopo questa interpretazione ci sono state molte discussioni dottrinali e della giurisprudenza: dopo questa molte sentenze hanno continuato a riferirsi al danno biologico o a quello esistenziale come categorie autonome (il codice delle assicurazioni ha definito il danno biologico, definendolo come danno psico fisico mediamente accertabile). La quantizzazione di tali danni è estremamente difficile, per questo sul danno non patrimoniale viene tendenzialmente liquidato in via equitativa.
Tornando alle sezioni unite: il danno non patrimoniale è un danno onnicomprensivo, e si tratta non tanto di tipicità vera e propria ma di tipicità elastica, contrapponendola alla atipicità dell’art. 2043 (che si apre con “chiunque”). Se vi è una posizione giuridica soggettiva rilevante per l’ordinamento allora questa viene risarcita ex. art. 2043 cc. quindi le sezioni unite dicono che per la risarcibilità ex art. 2059 cc. non solo vi deve essere una lesione di un interesse costituzionalmente garantito, ma il pregiudizio deve essere caratterizzato dalla “gravità della lesione” in modo tale che tutte le conseguenze che vengono garantite sono solo le conseguenze serie (viene creata la clausola bagatellaria, che elimina dalla sfera del giuridicamente rilevante e quindi risarcibile tutte le lesioni che non raggiungono un grado di gravità elevato).
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione con le sentenze n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008, hanno cancellato il c.d. danno esistenziale, giudicandolo una “duplicazione del c.d. danno biologico e del danno morale”. Tanto sulla base del presupposto secondo cui il danno non patrimoniale “è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”. In particolare, osserva la Corte nella sentenza 26972, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario ne è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Ciò però non implica un assoluto rifiuto della Suprema Corte in ordine al danno esistenziale, il quale benché non potrà più essere considerato come voce autonoma di danno non patrimoniale potrà, comunque, essere risarcito in virtù di una valutazione che il giudice dovrà compiere caso per caso; all’uopo la cassazione si è lasciata andare in qualche esempio rivelatore di quali danni, potranno e non potranno più essere risarciti: ha, difatti, condiviso l’orientamento delle sentenze “gemelle” in ordine al risarcimento del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto, ovvero del danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all’immagine, al nome e alla riservatezza. Destino diametralmente opposto avranno i pregiudizi, le ansie, il diritto alla qualità della vita, lo stato di benessere. Secondo gli Ermellini del Palazzaccio il risarcimento del danno alla persona dovrà, in ogni caso, essere integrale, nel senso che “dovrà ristorare integralmente il pregiudizio, ma non oltre”. Come detto sarà, quindi, compito del giudice, da ora in poi, accertare l’effettiva sussistenza del pregiudizio allegato, “individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”, e tenendo a mente che “potranno costituire solo voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico ... i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica”. In definitiva con le sentenze in commento la Suprema Corte di cassazione ha messo un punto fermo sulle voci di danno risarcibile, eliminando i rischi di risarcimento dei c.d. danni bagatellari, ovvero sui danni di modestia entità che non incidono su valori costituzionali. Si è eliminata, quindi, la possibilità di riconoscere il danno esistenziale nelle ipotesi, ad esempio, di un ritardo nell’istallazione di un impianto telefonico (Trib. Milano 27.11.2000) o per la distruzione della ciocca di capelli della prima fidanzata (P. Cendon, Op. cit.)!
Quindi sembra rispondere all’ordinanza di remissione negando l’esistenza del danno esistenziale come categoria di danno autonoma. Perché quindi le Sezioni Unite del 2008 sono un punto di arrivo e un punto di partenza? Sono un punto di arrivo perché arrivano all’esito dell’interpretazione dell’art. 2059, quindi del Danno non Patrimoniale; dopo le Sezioni Unite vi sono stati fiumi di parole, di sentenze che in qualche modo hanno negato tale orientamento. Mentre le sezioni unite si sono espresse negando l’esistenza di tre categorie autonome, sentenze successive hanno invece affermato che queste siano invece categorie autonome, fermo restando che le sezioni unite hanno affermato che si tratti di un danno onnicomprensivo ( il danno non patrimoniale), ed è il faro che deve guidare l’interprete. Dopo questa, molte sentenze hanno continuato a riferirsi al danno parlando di danno biologico, danno morale soggettivo o danno esistenziale come categorie autonome ( la definizione di danno non patrimoniale consente all’interprete di verificare la tenuta del sistema, anche perché è un danno difficile, difficile da provare, attenendo alla sfera personale, è difficile provare il danno non patrimoniale. La prova del danno patrimoniale nella liquidazione avviene attraverso il “criterio del differenziale”, cioè l’ammanco nella sfera giuridica del soggetto diventa automaticamente voce di danno. Non è possibile adoperare il criterio del differenziale nell’ambito del danno non patrimoniale poiché non abbiamo parametri oggettivi certi. Forse l’unico parametro oggettivo dato all’interprete è in materia di danno biologico (è intervenuto infatti il codice delle assicurazioni, che ha definito il danno biologico come lesione all’integrità psicofisica medicalmente accertabile. Quindi ha ancorato l’accertamento del danno biologico e del relativo risarcimento a parametri oggettivi). Nell’ambito del danno morale soggettivo, che attiene alla sfera intima, il “pati interiore”, per molto tempo “ transe unte” per la giurisprudenza, interpretato come danno temporaneo e non permanente, a quale parametro possiamo far riferimento se è strettamente legato all’interiorità? Per molto tempo la liquidazione del danno morale soggettivo è stata ancorata al danno biologico, veniva cioè risarcito il percentuale di danno biologico. Ma se non c’è una lesione all’integrità psicofisica, a cosa si può agganciare questo danno morale soggettivo?
La quantizzazione di questi danni è estremamente difficile, per questo il danno non patrimoniale viene tendenzialmente liquidato in via equitativa, applicando l’art. 1226. L’equità in questo caso ha due funzioni importanti: parità di trattamento e trasparenza, di adeguamento della fattispecie astratta al caso concreto. Il giudice valuta caso per caso e parametra il danno a seconda di ciò che accade nel caso concreto.
Tornando alle sezioni unite: esse affermano quindi che il danno non patrimoniale è un danno onnicomprensivo, e per evitare le duplicazioni dobbiamo ritenere tutte le sue specificazioni come etichette definitorie, e non come categorie autonome di danno. Le Sezioni Unite riprendono l’orientamento espresso dalla Cassazione a sezioni semplici nel 2003, affermando che si tratti non tanto di tipicità vera e propria ma di tipicità elastica, contrapponendola all’ atipicità dell’art. 2043. Perché Atipicità? Perché il 2043 si apre con “chiunque”, “qualunque fatto”, è atipico, non da una perimetrazione, poiché qualunque fatto illecito se cagiona un danno è risarcibile. Se vi è una posizione giuridica soggettiva rilevante per l’ordinamento, e questa viene lesa da una qualunque condotta, allora questa viene risarcita ex. art. 2043 cc., mentre il danno non patrimoniale, art. 2059, stabilisce una chiusura che si rivela essere fonte di problemi, che ha portato a numerose interpretazioni (tripolarismo, bipolarismo,...), quindi si parla di tipicità relativa, elastica, poiché può essere riempita di contenuto facendo riferimento al dettato costituzionale. E il dettato costituzionale per sua natura è un dettato aperto, perché c’è la clausola dell’art 2 Cost. che apre a qualsiasi diritto se quel diritto è sentito forte dalla generalità dei consociati. Per questo si parla di tipicità elastica, dicono le sezioni unite del 2008. Tuttavia permangono i problemi per l’assenza di una perimetrazione definita e netta: il 2043 si imperna su attributi quali l’ingiustizia, la colpevolezza, attributi che mancano nel 2059. Quindi le sezioni unite dicono che per la risarcibilità ex art. 2059 cc. non solo vi deve essere una lesione di un interesse costituzionalmente garantito ( e non solo lesione di una posizione giuridica rilevante, come per il 2043) ma il pregiudizio deve essere caratterizzato dalla “gravità della lesione”, un po’ come l’ingiustizia del danno, in modo tale che tutte le conseguenze che vengono risarcite sono solo le conseguenze serie, sufficientemente caratterizzate (viene creata la clausola bagatellaria, che elimina dalla sfera del giuridicamente rilevante e quindi risarcibile tutte le lesioni che non raggiungono un grado di gravità elevato). Il 2059 è quindi riletto in termini di offensività, di lesione offensiva. Quando una lesione è realmente offensiva? Quando oltrepassa il limite della normale tollerabilità e potrà essere risarcita( il nostro ordinamento giuridico si impernia sul principio di solidarietà, di tolleranza,quindi finchè sono normalmente tollerabili determinati comportamenti e lesioni, questi non saranno mai risarcibili). Le sezioni unite stanno tentando di chiarire i numerosi equivoci sorti sul danno non patrimoniale, questo è stato infatti oggetto di ripetuti interventi della giurisprudenza poiché manca una puntuale disciplina nel codice ( un’unica norma si limita ad affermare: “Il danno non patrimoniale si risarcisce nelle sole ipotesi previste dalla legge). E’ quindi un istituto di conio giurisprudenziale, poiché tutte le sue delimitazioni e perimetrazioni sono state definite nelle aule dei tribunali, è un danno nato dalla prassi (nel codice del 1865 non vi era una norma sul danno non patrimoniale, era ritenuto risarcibile e basta perché c’era una norma generica).
Quindi la posizione della corte può essere così riassunta:
1) Definizione di danno non patrimoniale come categoria onnicomprensiva
2) Contrappongono la tipicità del danno non patrimoniale all’atipicità del danno patrimoniale
3) Accolgono l’orientamento delle sezioni semplici del 2003 cioè la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 e caratterizzano questo danno in termini di ingiustizia, dicendo che deve seguire gli stessi parametri che ha il danno patrimoniale.
Quindi la posizione della corte può essere così riassunta:
Con riferimento alla responsabilità contrattuale non abbiamo una norma che disciplini chiaramente la risarcibilità del danno non patrimoniale ( il 2059 è inserito nell’ambito della responsabilità extracontrattuale) e ciò aveva orientato parte della dottrina a ritenere non configurabile tale tipo di danno per inadempimento contrattuale (essendo il contratto fortemente permeato da interessi di natura patrimoniale, art.1321). Non essendoci alcun richiamo era impossibile estendere tale danno alla responsabilità contrattuale. Questo secondo la dottrina tradizionale.
Le sezioni unite dicono che in realtà non interessa la fonte della responsabilità, aquilana o contrattuale, i danni non patrimoniali sono risarcibili anche nel contesto contrattuale, poiché è importante l’interesse sotteso, che anche in ambito contrattuale può ben essere di natura non patrimoniale: vedi art. 1174 che riguarda il contenuto della prestazione, che ha contenuto economico, ma può corrispondere anche ad un interesse non patrimoniale. Se la prestazione è oggetto del contratto, e questa può corrispondere eventualmente ad un interesse non patrimoniale del soggetto, vuol dire che l’interesse non patrimoniale entra anche nel contratto). Ma non c’è solo questo articolo a dirlo, ci sono tutte quelle norme che prevedono quegli obblighi protettivi, come per esempio nei contratti di lavoro, o nei contratti di trasporto. Questi obblighi protettivi hanno la loro fonte innanzitutto nella legge, la quale impone la protezione dei soggetti, di interessi anche di natura non patrimoniale, interessi di natura personale del soggetto. Tutte queste restrizioni non guardano alla fonte della responsabilità, ma agli interessi sottesi, ecco perché è estensibile l’applicazione dell’art. 2059, quindi il danno non patrimoniale anche in materia contrattuale. Ciò è possibile anche grazie alla teoria della “causa in concreto” (evoluzione del concetto di causa nel tempo = per lungo tempo si è ritenuto che la causa coincidesse con i motivi del contrarre, quindi la ragione soggettiva del contrarre, TEORIA VOLONTARISTICA. C’è stata un’ evoluzione in senso oggettivistico, in seguito alla quale la causa è stata evidenziata come la ragione economico - individuale del contratto). La giurisprudenza non era convinta i queste teorie, per questo nel 2007 varò la teoria della “causa in concreto” come ragione economico-individuale di tutto l’assetto di interessi del contratto, che prende in considerazione anche gli interessi sottesi alla stipulazione del contratto (es. la compravendita ha un interesse che si fonda sullo scambio, ma non è solo lo scambio che rappresenta la causa del contratto). Quindi se la causa non è solo una causa economico-sociale, ma una causa economico-individuale, nel contratto entrano, attraverso la causa, non solo interessi di natura patrimoniale ma anche di natura personale (non patrimoniale). Quindi sono risarcibili danni non patrimoniali in via contrattuale derivanti da lesioni ( quali lesioni? L’inadempimento contrattuale). Se questo inadempimento contrattuale ha come conseguenza negativa la lesione di un interesse personale, allora si risarcirà il danno non patrimoniale. Inizialmente la dottrina tradizionale che negava l’applicabilità del danno non patrimoniale nell’ambito contrattuale, si era ipotizzato quindi un cumulo di azioni, contrattuali ed extracontrattuali, con tutte le difficoltà del caso: è diverso l’onere probatorio, è diversa la prescrizione, il soggetto era quindi soggetto ad oneri diversi per le due azioni che si cumulavano, con la possibilità che il giudizio fosse diverso. Non vi era una tutela vera e propria. Con il riconoscimento del danno non patrimoniale anche nell’area contrattuale il soggetto agisce per l’inadempimento con i relativi oneri che ha (Sezioni Unite del 2001, tutto è più semplificato, meno contraddittorio).
Le Sezioni Unite arrivano a ciò partendo dal danno da vacanza rovinata per inadempimento, o inesatto adempimento del contratto di Package, cioè vacanza tutto Compreso, all inclusive. In quell’ipotesi, attraverso la causa in concreto, si riconosce al soggetto il risarcimento del danno non patrimoniale, poiché l’inadempimento ha comportato una lesione dell’interesse sotteso al contratto di Package, cioè quello di fare una vacanza senza problemi. Se da questo inadempimento contrattuale è derivata al soggetto una lesione sub specie di danno morale, danno biologico o danno esistenziale, tale lesione va risarcita in ambito contrattuale.
Abbiamo quindi detto che il danno morale soggettivo, inizialmente l’unico danno risarcibile ex art. 2059 riguardava il cosiddetto “pati”, cioè era collegato ad una sofferenza interiore del soggetto, una sofferenza “transe unte”. Dopo il 2008 è stato rivisitato, non è più una sofferenza “transe unte”, temporanea, può essere anche una sofferenza permanente, purché non sfoci in una patologia, ricadendo in tal caso nell’applicazione del danno biologico (=lesione all’integrità psicofisica di un soggetto medicalmente accertabile, che è possibile provare tramite accertamenti. Il giudice può chiedere anche una consulenza tecnica d’ufficio). Il danno esistenziale è dalle forme un po’ meno definite, non c’è una definizione neanche in nessuna legge speciale. E’ stato definito come la proiezione esterna del danno morale: il danno morale è un patì cioè una sofferenza interna del soggetto, mentre quello esistenziale è una modifica della sfera relazionaria-reddituale del soggetto, una modifica della sua agenda di vita derivante dalla violazione di un qualsiasi diritto costituzionalmente garantito, un qualsiasi diritto della personalità. E’ un danno di tipo “relazionale”, un danno alla vita di relazione. Le sezioni unite dicono che non esiste questo danno esistenziale, in realtà per evitare duplicazioni risarcitorie hanno voluto ammettere che il danno non patrimoniale è uno, e va trattato come tale. Ciò per evitare di risarcire i meri fastidi, quindi le lesioni che non superano il limite della normale tollerabilità, oltre a duplicare i danni, cioè risarcire sub specie di danno morale, ovvero danno esistenziale ovvero danno biologico le stesse lesioni. Per questo si parla di danno non patrimoniale onnicomprensivo.
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